“10mila soldati ucraini rischiano di finire in trappola nel Kursk”: il punto sulla guerra del generale Battisti

Sudzha, la principale città conquistata dagli ucraini nella regione russa di Kursk dopo l’offensiva del 6 agosto scorso, è tornata ieri in mano alle truppe di Mosca. Il centro – sede di una stazione di pompaggio del gasdotto che portava il gas russo in Europa attraverso l’Ucraina – sarebbe stato liberato dopo limitati combattimenti a meno di 24 ore dalla visita di Putin nell'oblast e a 48 ore dal vertice di Gedda, quello in cui è stata "partorita" la proposta di Washington e Kiev al Cremlino per un cessate il fuoco di 30 giorni.
Con la caduta di Sudzha gli ucraini controllerebbero solo 290 chilometri quadrati di territorio russo dei 1.376 di cui Kiev aveva annunciato di detenere il controllo nell’agosto 2024. Ma non solo: ieri il presidente Zelensky e i vertici militari hanno ordinato la ritirata delle truppe ucraine dalla regione alla luce della rapida controffensiva russa che rischia di imprigionare in una "sacca" almeno 10mila soldati. Si tratta di un'ipotesi quanto mai realistica: da alcune settimane, infatti, la Russia ha intensificato l'offensiva con truppe d'élite, tra cui paracadutisti e fanteria di marina, per riconquistare il territorio perso nell'agosto scorso. Fanpage.it ha fatto il punto della situazione con il generale Giorgio Battisti, già comandante del Corpo d'Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO (NRDC-ITA).

Parliamo della situazione nella regione russa del Kursk. Vi è il rischio che migliaia di soldati ucraini rimangano intrappolati in una "sacca"?
Sì, quel rischio c'è ed è concreto. Si stima che circa 10mila soldati ucraini – ma il loro numero esatto non ci è noto – rischino di essere chiusi nella "sacca" del Kursk dalla repentina avanzata dei russi delle ultime settimane, e in particolare degli ultimi giorni. Per questo, il presidente Zelensky ieri ha ordinato una ritirata strategica su posizioni più difendibili, nonostante la resistenza del suo capo di Stato Maggiore, che invece vorrebbe mantenere ogni centimetro di territorio riconquistato. Per Kiev, il problema è che la Russia ha intensificato l'offensiva con truppe d'élite, tra cui paracadutisti e fanteria di marina, per riconquistare il territorio perso nell'agosto scorso. La situazione per l'Ucraina è aggravata dalla carenza di uomini e dalla sospensione dell'intelligence statunitense e delle comunicazioni Starlink, circostanze che stanno privando l'Ucraina di strumenti chiave per coordinare la difesa.
Perché Zelensky sta chiedendo di mantenere una "presenza minima" di uomini nel Kursk?
Nonostante la enormi difficoltà, mantenere una presenza minima avrebbe per Kiev un importante valore strategico e diplomatico nell'ottica dei futuri negoziati di pace. Tuttavia, la resistenza ucraina ha un costo elevato in termini di vite umane, e il quadro operativo è sempre più complesso.
Se gli ucraini non dovessero riuscire a ritirarsi entro i loro confini, quali rischi correrebbero questi 10mila soldati?
Il pericolo principale è che quelle truppe vengano accerchiate. Da quanto emerge, la Russia sta intensificando l’offensiva con l’obiettivo di chiudere queste forze in una sacca e costringerle alla resa. A conferma di ciò, durante una recente conferenza stampa il presidente Putin ha dichiarato che non permetterà un'uscita pacifica dei soldati ucraini dal territorio russo. Ha invece intimato al governo di Kiev di ordinare loro la resa, per evitare che vengano annientate. La situazione è estremamente critica, e le attuali difficoltà erano già emerse nelle scorse settimane. Le forze ucraine faticano a mantenere le loro posizioni, mentre si stima che circa 50mila soldati russi stiano confluendo nella regione di Kursk.
In che modo si conduce una ritirata ordinata ed efficace in una situazione delicata come quella del Kursk, con rapporti di forza sfavorevoli agli ucraini?
Una ritirata efficace e ordinata è una delle manovre più complesse da organizzare; l'aspetto più critico di uno sganciamento – questo il nome in gergo militare – è fare in modo che le forze avversarie non si accorgano di ciò che sta avvenendo. Se il nemico percepisce il ripiegamento, intensificherà la propria offensiva proprio in quel momento cruciale. Per questo motivo, è essenziale mantenere un "velo" di truppe sulla linea del fronte, affinché il movimento di ritirata resti il più possibile nascosto.
Parallelamente, bisogna pianificare uno scaglionamento verso le retrovie, iniziando dalle unità più pesanti, ovvero quelle logistiche, come depositi, ospedali da campo e tutto ciò che garantisce il supporto operativo alle truppe. Quindi, il primo passo è spostare questi assetti, seguiti dall’artiglieria e dai posti di comando. Una volta completata questa fase, le truppe possono iniziare ad arretrare in modo organizzato, sempre pronte a fermarsi e a respingere eventuali attacchi. Tuttavia, alcune unità devono rimanere sul posto fino all’ultimo per coprire la ritirata degli altri, e devono essere consapevoli del sacrificio che stanno compiendo. Può essere utile, durante una ritirata, preparare un'azione diversiva che tenga "occupati" gli avversari, e che benefici di supporto aereo e di artiglieria.
Al termine della ritirata, diventa fondamentale predisporre linee difensive solide per impedire un’avanzata russa in profondità nel territorio ucraino. Se il nemico dovesse neutralizzare le unità di retroguardia, potrebbe proseguire rapidamente verso ovest, sfondando le nuove linee di difesa. Questo è il motivo per cui la ritirata è una delle manovre più difficili: oltre a richiedere un’organizzazione impeccabile, impone ai comandanti di mantenere il controllo sulle truppe per evitare che si diffonda il panico. Dopo mesi di combattimenti intensi, il rischio di un crollo psicologico è elevato, soprattutto in questa fase di disgelo in cui il terreno diventa molle e i mezzi pesanti possono incontrare serie difficoltà nei movimenti fuori strada. Se la paura prende il sopravvento, la ritirata ordinata può trasformarsi in una fuga disorganizzata, in una "rotta", esponendo le truppe al rischio di accerchiamento e annientamento.

È possibile, nell'attuale scenario, che l'Ucraina organizzi uno sganciamento senza che i russi se ne accorgano?
No, ed è questo il problema: la capacità di osservazione aerea rende questi movimenti estremamente difficili da occultare. Tra satelliti, droni, intelligence umana e intercettazioni delle comunicazioni, il rischio che il nemico individui lo sganciamento è altissimo. Ad esempio, se le forze russe rilevano il trasferimento di artiglieria, logistica o comandi oltre il confine ucraino, capiranno immediatamente che è in atto una ritirata strategica. Questa operazione è stata peraltro annunciata pubblicamente dal presidente Zelensky e dal Capo di Stato Maggiore ucraino.
Ieri è trapelata la notizia che i russi starebbero condannando a morte alcuni prigionieri ucraini.
E questo ha enormi conseguenze sul morale. Si parla di esecuzioni sommarie di prigionieri ucraini da parte delle forze russe, in base a ordini che, sebbene non confermati ufficialmente, sembrano indicare un trattamento dei combattenti ucraini come terroristi, ignorando le Convenzioni di Ginevra del 1949, che la Russia ha comunque sottoscritto. Se questa consapevolezza si dovesse diffondere tra i soldati ucraini, il loro morale potrebbe subire un duro colpo, rendendo ancora più difficile mantenere la disciplina necessaria per una ritirata efficace.
Alla luce di come è evoluta la situazione sul campo, l'operazione ucraina del Kursk può essere considerata oggi un azzardo?
Sì, possiamo sicuramente dire che l'operazione ucraina del Kursk è stata un azzardo. Tuttavia quando lo scorso agosto Kiev lanciò sembrò a tutti una mossa strategica efficace. In effetti, riuscì a creare grande imbarazzo nella leadership militare russa, che ancora una volta si era trovata sorpresa dalla capacità dell'Ucraina di condurre un'azione offensiva. Era già accaduto nel settembre del 2022, con la rapida controffensiva nell'oblast di Kharkiv, quando le forze ucraine riuscirono a respingere i russi in maniera piuttosto decisa.
Per quanto riguarda l'operazione nel Kursk l'obiettivo era ottenere un successo, seppur temporaneo, per mettere in difficoltà Mosca. Nell'ottica di Zelensky quel territorio doveva servire come merce di scambio in vista di un possibile cessate il fuoco o di un accordo di pace. L'idea era quella di poter negoziare una cessione reciproca di territori occupati. Ma c’era anche un altro scopo: distogliere le forze russe dal fronte del Donbass, dove dall’ottobre del 2023, dopo il fallimento della tanto preannunciata offensiva ucraina, i russi hanno mantenuto una pressione costante, avanzando anche se con progressi lenti, di pochi chilometri o qualche villaggio alla volta, ma comunque avanzando verso ovest.
Quindi, dal punto di vista strategico, e prima ancora politico, per Kiev c'erano obiettivi precisi. Tuttavia, l'Ucraina ha dovuto fare i conti con un problema cruciale: la mancanza di uomini. Si parla di circa 500mila giovani e uomini ucraini che hanno lasciato il paese per non combattere, e questa carenza di forze ha influito pesantemente sull’esito dell’operazione. Il risultato è stato che questa offensiva, pur avendo impegnato alcune delle migliori unità combattive ucraine, si è poi rivelata una sorta di tritacarne per le loro stesse forze. E infatti, dalle informazioni che emergono dai vari blog e dalle testimonianze dei soldati, molti ora si chiedono a cosa sia servito questo sacrificio, visto che, dopo mesi di combattimenti, sono costretti a ritirarsi, incapaci di resistere alla pressione russa.
Lei ha parlato di "merce di scambio". La salvezza dei 10mila soldati ucraini nel Kursk potrebbe permettere a Putin di ottenere condizioni ancora migliori al tavolo del negoziato?
Mi sembra improbabile. Dalla conferenza stampa di ieri emerge che Putin non ha mai dichiarato apertamente che le forze a rischio accerchiamento o già circondate nel Kursk potranno ritirarsi pacificamente. Anzi, ha affermato chiaramente che dovranno arrendersi e deporre le armi. In questo momento, il leader russo si trova in una posizione di vantaggio, sia per la situazione militare sul campo sia per l'atteggiamento del presidente USA Trump. Quest’ultimo, pur di ottenere un accordo di pace, sembra meno incline a considerare le aspettative ucraine. Putin ora tratta da una posizione di forza: non può dire di no a Trump, ma nemmeno accetterà un accordo senza ottenere ciò che chiede da tempo. E infatti, come ha sempre ribadito in questi tre anni di guerra, ha precise condizioni per avviare qualsiasi discussione con gli Stati Uniti.
La palla, insomma, ripassa a Trump.
Sì. Il presidente statunitense, che si sta proponendo come unico uomo di pace in Ucraina e Medio Oriente, farà di tutto per non perdere credibilità; dovrà quantomeno discutere le richieste di Putin e considerarle seriamente. Ed è per questo che, in questo momento, il leader russo si trova in una chiara posizione di forza.