L’attesa dei mercati finanziari e dei media di tutto il mondo è quasi finita: domenica 23 aprile 47 milioni di elettori francesi saranno chiamati a votare nel primo turno delle elezioni presidenziali 2017. Secondo gli ultimi sondaggi tutti i giochi sono ancora aperti, perché i quattro candidati con più possibilità di approdare al ballottaggio che il 7 maggio deciderà il nuovo inquilino dell’Eliseo presentano distacchi minimi.
Per la precisione, il favorito Emmanuel Macron, candidato centrista, ex socialista ed ex banchiere d’affari, è dato al 23%, la leader del Front National, Marine Le Pen, è accreditata di un 22,4%, il candidato del centrodestra Francois Fillon è indicato al 19,9%, mentre l’uomo della sinistra radicale, Jean-Luc Melenchon, è risalito nelle ultime settimane sino a raggiungere il 19,8% delle preferenze. Il tutto a fronte di un numero di elettori indecisi che oscilla tuttora a seconda delle stime tra il 20% e il 30% del totale.
Gli analisti finanziari, prudenti di natura, concordano per una volta nell’indicare il tandem Macron-Fillon come l’esito migliore tra quelli per il ballottaggio finale, essendo come nota la banca svizzera Ubs due candidati “pro sistema”, mentre l’accoppiata Le pen-Melenchon rappresenta le alternative (della destra e della sinistra radicali) “anti sistema” e per questo la combinazione più temuta dagli investitori.
Nel primo caso, indipendentemente o quasi dalla vittoria finale secondo gli esperti di Oddo BHF Asset Management gli investitori tornerebbero a concentrarsi sulla valutazione dei fondamentali macroeconomici, che per la Francia (come pure per l’Eurozona nel suo complesso) stanno migliorando, oltre che sulle prospettive di crescita degli utili aziendali, altrettanto incoraggianti.
A beneficiare della vittoria di Macro o Fillon sarebbero dunque le borse di Parigi e dell’intera Europa, in particolare per quanto riguarda titoli a piccola e media capitalizzazione in grado di beneficiare maggiormente di eventuali sorprese positive in termini di crescita economica più robusta del previsto nel vecchio continente.
Non è chiaro se della partita potrebbe far parte anche la borsa di Milano, dove le capitalizzazioni sono mediamente inferiori a quelle di altri mercati europei ma dove gli investitori scontano prospettive di ripresa decisamente meno esaltanti e l’incertezza sui tempi delle elezioni politiche (che per molti potrebbero cadere anticipatamente tra settembre e novembre, sempre che il presidente Sergio Mattarella assecondi i desiderata del leader PD ed ex premier Matteo Renzi) e sulla futura legge finanziaria, che rischia di rivelarsi molto pesante per gli italiani a causa del continuo rinvio di ogni manovra sui conti pubblici da parte di Renzi e, per ora, di Gentiloni.
Anche nel migliore dei casi possibili, non ci sarebbe invece molto spazio per investire in bond: gli Oat francesi probabilmente recupererebbero terreno e vedrebbero lo spread sui Bund ridursi (e sulla loro scia potrebbero muoversi i Btp italiani), ma sarebbe secondo State Street Global Advisors un movimento modesto “a causa del debito pubblico (francese) e del potenziale (limitato) per una sua riforma”.
In compenso se a superare il turno fossero Le Pen e Melenchon gli investitori si ritufferebbero nei Bund tedeschi, oltre che nell’oro e in valute come franco svizzero e yen giapponese, per ripararsi dal prevedibile incremento della volatilità e dal rischio di una correzione delle borse e dei bond europei.
Così Ubs, che resta “neutrale” sulla Francia in termini di ripartizione degli investimenti per paese in Europa, se da un lato suggerisce di puntare sull’euro rispetto al dollaro in vista della possibile/probabile vittoria di uno dei due candidati “pro sistema”, dall’altro propone anche di valutare un investimento in corone svedesi, dato che grazie al tasso di crescita della Svezia (il più forti tra i paesi del G10) sembra poter guadagnare terreno indipendentemente dall’esito delle elezioni francesi.
Non è però detto che ciò che piace alle borse debba essere l’esito migliore per la Francia e l’Europa: Alessandro Fugnoli (strategist del gruppo Kairos) nota come il rischio maggiore per la Francia sia in realtà “che tutto resti come è oggi, che un Macron inesperto o un Fillon sempre sulla difensiva non abbiano la forza né di proporre ai francesi le riforme chieste dalla Germania né di rinegoziare con la Germania i termini dell’Unione europea”.
Questo a lungo andare, tanto se scoppiasse una nuova recessione globale anche più modesta di quella del 2008, alimenterebbe forze anti-sistema “che in Francia sono quasi sempre endemiche”. Col rischio di trascinare questa volta definitivamente nel baratro il progetto di euro ed Unione europea, un rischio che preoccupa non solo chi teme il ritorno di un’Europa divisa e litigiosa come quella cha il secolo scorso ha dato il via a due guerre mondiali, ma anche chi come l'ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha toccato con mano cosa vuol dire dover affrontare mesi di incertezza che alimentano la fuga dei capitali da un paese.