A cura di
Adriano Biondi
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Fine primo atto, tra quattordici giorni si torna in scena. Con un copione già scritto, forse, ma con qualche scena inserita all’ultimo momento, che rischia di cambiare il finale dell’intera opera.
Andiamo per punti, in ordine sparso.
- Renzi aveva visto giusto, scegliendo di legare la sua sopravvivenza politica non alle amministrative ma al referendum confermativo sulla riforma della Costituzione. Limitare i danni era l’obiettivo nemmeno troppo nascosto dei renziani alla vigilia del voto nelle maggiori città italiane. Obiettivo mancato, seppure di un soffio. Perché il PD prende una batosta annunciata a Napoli (la Valente è poco sopra il 21, il PD è al 12%), raggiunge faticosamente il ballottaggio a Roma (ma solo grazie alle divisioni del centrodestra), non sfonda a Milano (anzi…) e incassa due mezze battute d’arresto nelle città che già amministrava con Fassino a Torino e Merola a Bologna (entrambi intorno al 40%, senza entusiasmare). Tecnicamente potrebbe essere considerato uno stop di metà mandato, politicamente è la testimonianza di due evidenze: l’onda lunga del renzismo si è arrestata, il PD non ha lavorato bene (per usare un eufemismo) sui territori, soprattutto laddove la spinta rottamatrice si è trasformata in strategismo e politica dei compromessi.
- Il Movimento 5 Stelle dipende dal direttorio e dalla catena di comando centrale. Ma nel senso opposto, per paradossale che possa sembrare. Laddove la longa manus del Comintern a 5 Stelle si allunga e determina le scelte, scavalcando il livello territoriale e imponendo candidature e piattaforma politica, i candidati grillini rimediano figure barbine (emblematici i casi Milano e Bologna). Il progetto 5 Stelle funziona laddove è il livello territoriale a emergere con forza, premiando un progetto a medio termine (le consiliature della Appendino e della Raggi) e una piattaforma politica costruita nel corso degli anni. In altre parole, siamo sempre lì: dove c’è una classe dirigente legittimata e consapevole.
- Il centrodestra è un cantiere aperto, ma la direzione è tracciata. Roma è più di un segnale: Berlusconi non inseguirà la destra populista ma punterà su un nuovo progetto centrista, affidato a uomini come Marchini e Parisi. Un percorso per cui sacrificare anche un ballottaggio certo (a Roma), nella speranza che il successo di Parisi convinca anche Salvini a una “riconversione” in chiave strategica. Il punto è che Berlusconi ha chiara una sola cosa: bisogna cambiare, subito, per non essere cannibalizzati a destra da Salvini e al centro da Renzi.
- E la sinistra – sinistra? Fassina al 4,5%, Rizzo al 3,5%, Airaudo al 3,5%, Martelloni (a Bologna la Rossa) al 7%. In generale, dove i candidati di sinistra si presentano da soli, con una propria piattaforma politica e senza dialogare con il PD, i risultati sono quelli di sempre: percentuali basse, consensi drenati dalla logica del voto utile, battaglie di rappresentanza eccetera. Poco, pochissimo, soprattutto se si allarga lo sguardo oltre i confini del Belpaese…
- Il caso Napoli. Che la maggiore città del Mezzogiorno sia un’anomalia nel panorama politico italiano è ormai un dato di fatto: ora de Magistris va verso un’agile riconferma, sfruttando i limiti delle opposizioni, certo, ma anche mettendo a frutto una capacità unica di creare una connessione con parte della società partenopea. La domanda, semmai, è se quella napoletana sia un'esperienza replicabile, o meglio, esportabile. De Magistris ci ha già provato, nel 2013, mandando sostanzialmente Ingroia a sbattere. Ma nei prossimi 5 anni non è escluso che Napoli possa diventare laboratorio di una sorta di populismo arancione, alternativo sia al Movimento 5 Stelle che alle velleitarie piattaforme politiche della sinistra radicale.
- L’altra faccia di una sconfitta. Se nelle grandi città il bilancio della compagine di Governo è negativo, lo stesso non si può dire considerando gli altri centri al voto. Il centrosinistra tiene sul territorio ed è in vantaggio nella gran parte dei capoluoghi di provincia che già amministrava (qui i dati completi). Insomma, saldo finale positivo. Quanto pesa questo nel discorso generale? Dipende. Perché il “colore” delle amministrazioni sul territorio è decisivo, se si immagina un orizzonte ampio per la “reggenza” renziana. E ogni riferimento alle “resistenze” incontrate sui territori dal Cavaliere in 20 anni di carriera politica non è puramente casuale.
- Difendere il Nord. Proteggere Torino, salvare Milano, abbandonare Roma. Non ci sono molte alternative per il Presidente del Consiglio, che al Nord gioca una partita decisiva per la sua "narrazione". Quella del Paese che riacquista la speranza, che si mostra orgoglioso al mondo (EXPO), che non ha paura delle sfide della globalizzazione (ciao Marchionne), che investe sui manager più che sui politici politicizzati e politicanti. Una narrazione che, nello scenario peggiore, rischia di essere stritolata dai fatti. Altro che "Referenzum", insomma.
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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.