Che il mercato della telefonia mobile, in Italia e in Europa, sia sempre più competitivo e veda da tempo i margini di profitto in calo è cosa nota ad analisti e investitori. Che una fusione tra due dei quattro gestori italiani possa fare bene agli interessati ma indirettamente anche ai loro concorrenti è altrettanto chiaro, quello che non è chiaro è cosa ne possano pensare le autorità Antitrust. L’operazione di cui si parla con insistenza in questi giorni riguarda l’eventuale fusione tra Wind (controllata di VimpelCom, società che fa capo al miliardario russo Mikhail Fridman) e 3 (che invece è controllata da Hutchinson Whampoa, holding del miliardario di Hong Kong Li Ka Shing), operazione che secondo il Financial Times dovrebbe essere annunciata già nelle prossime settimane se non nei prossimi giorni e che concluderebbe uno dei negoziati più lunghi e tortuosi del settore delle telecomunicazioni, visto che di questa operazione si era iniziato a parlare oltre un anno fa.
Se troveranno conferma le indiscrezioni, Hutchinson Whampoa dovrebbe controllare il 51% della Newco cui verrebbero conferiti gli asset di Wind e 3 e il mercato italiano verrebbe di fatto spartito tra tre soli operatori: Telecom Italia/Tim, Vodafon e appunto Wind/3, ciascuno con quote di mercato vicine a un terzo del totale. Sparito un gestore, i tre rimanenti potrebbero limitare la guerra di prezzi che ha finora contraddistinto il settore in Italia ancora più che su altri mercati nazionali e utilizzare i più elevati margini di profitto per finanziare un upgrade delle infrastrutture e un miglioramento dei servizi offerti. Oppure, semplicemente, per dare maggiori ritorni ai propri azionisti. La salita costante delle quotazioni di Telecom Italia di questi ultimi giorni in borsa (dove il titolo è arrivato fino alla soglia di 1,125, prezzo che non si vedeva dal 2010) dimostra che gli investitori ci credono.
Resta tuttavia da capire se anche l’Antitrust europeo, cui per competenza spetterebbe di esprimersi sull’operazione, crederà che l’operazione non costituisca una limitazione della concorrenza. Giusto qualche giorno fa l’Antitrust Ue si è espresso contro questo tipo di operazioni che solitamente comportano per gli utenti un incremento dei prezzi pagati per usufruire degli stessi servizi. Il caso italiano però, almeno secondo alcuni analisti tra cui quelli di Equita Sim, potrebbe costituire un’eccezione a patto che gli interessati si impegnino a utilizzare le maggiori risorse per rinnovare la rete e i servizi offerti. Il tema del riassetto del mercato si intreccerebbe così con quello della rete italiana di nuova generazione (“RING”) prevista nel piano nazionale per la banda ultralarga appena varato dal Consiglio dei ministri dello scorso 3 marzo assieme alla “strategia per la crescita digitale”.
Nel primo caso si vuole colmare il gap strutturale e di mercato tra l’Italia e il resto d’Europa favorendo l’attivarsi di “un mix virtuoso di investimenti pubblici e privati” che potrà contare sui fondi europei Fesr e Feasr, il Fondo di sviluppo e coesione, per complessivi 6 miliardi di euro (più gli eventuali fondi disponibili grazie al finora fumoso “Piano Juncker”). A questi si dovranno unire fondi privati, stimolati dalla concessione di una serie di agevolazioni fiscali, per cercare di raggiungere l’obiettivo di collegare fino all’85% della popolazione ad almeno 100 Mbps entro il 2020. Parallelamente la “strategia digitale” del governo dovrebbe portare tra l’altro ad uno switch-off obbligatorio nella Pubblica Amministrazione dalla vecchia alla nuova infrastruttura, ad un nuovo approccio architetturale basato su logiche aperte, architetture flessibili e standard, ad una maggiore diffusione di cultura digitale e llo sviluppo di competenze digitali in imprese e cittadini, all’adozione di soluzioni volte a stimolare la riduzione dei costi e a migliorare la qualità dei servizi, nonché alla progressiva adozione di modelli cloud e all’innalzamento dei livelli di affidabilità e sicurezza.
E’ inoltre previsto, sulla carta, l’implementazione di linee guida per un sistema pubblico di connettività, di regole tecniche e infrastrutture che garantiscano la connettività e l’interoperabilità Wifi negli uffici pubblici e nelle scuole/ospedali, in sinergia con il piano nazionale banda ultralarga, al fine di massimizzare la copertura a 100 mbps, “garantendo almeno 30 mbps nelle aree più marginali”. Se alle parole seguiranno i fatti (in termini sia di risorse sia di competenze), per i privati si aprirebbe un mercato “triple play” (ossia erogazione di servizi voce, dati e video) che finora è rimasto solo sulle slide di presentazione dei piani industriali di qualche gruppo.
La possibilità di trasmettere non solo voce ma soprattutto dati, con connessioni n mobilità in grado di far fruire testi, immagini e filmati su dispositivi che potranno variare dagli smartphone ai tablet, fino ai computer portatili e fissi, apre nuovi scenari ai gestori, ma si tratta di un orizzonte ancora distante. Prima di arrivarci è possibile che ci si debba riorganizzare anche tramite qualche operazione di fusione e acquisizione. Sempre che l’Antitrust, come detto, ritenga verosimile il quadro dipinto dal governo italiano e le rassicurazioni che verranno dai gestori privati e che non fiuti la voglia, semplicemente, di scaricare i costi di un simile investimento sulle spalle degli utenti. Non sarebbe la prima volte in Italia che ciò accade, purtroppo