Quando si dice investimenti poco fortunati: al fondo sovrano del Qatar le partecipazioni in Glencore (-15% in due sedute) e Volkswagen (-38%) sono costate oltre 4 miliardi di euro di perdite in sole due sedute. Se l’investimento nel produttore automobilistico tedesco, di cui Qatar Investment Authority è il primo azionista privilegiato (col 13% dei titoli) e il terzo azionista ordinario (col 17%), ha visto crollare di 3,8 miliardi di euro il proprio valore, quello in Glencore (di cui il fondo sovrano è il maggiore azionista con l’8,2%) ha accusato una caduta di 231 miliari di sterline (circa 316 milioni di euro). In tutto fanno appunto oltre 4,1 miliardi di euro di perdite.
Con le chiusure di stasera Glencore ha recuperato il 2,59%, Volkswagen il 6,92%, come dire che Qia ha recuperato circa 55 milioni di euro delle perdite su Glencore e attorno ai 700 milioni su Volkswagen, riducendo la perdita potenziale a poco più di 3,4 miliardi di euro. Non proprio bruscolini, ma il Qatar può permettersi questi e altri “scivoloni”: a novembre scorso, nonostante il brusco calo del petrolio, le riserve finanziarie della banca centrale dell’emirato arabo erano pari a 46,5 miliardi di dollari, 7 miliardi in più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e le previsioni parlavano di una ulteriore accelerazione nel corso di quest’anno.
Merito della realizzazione di importanti progetti infrastrutturali, in buona parte legati ai mondiali di calcio del 2022, e dell’afflusso di immigrati (la popolazione del Qatar, stranieri compresa, è aumentata del 9% abbondante nel 2013 raggiungendo i 2,24 milioni di persone). Ma oltre ad essere proiettato verso un futuro meno dipendente dall’oro nero in casa, il Qatar ha investimenti in tutto il mondo e in molti settori. Si va da media come Al Jazeera a colossi finanziari come il Credit Suisse (di cui Qia possiede il 5,2%) o come il London Stock Exchange, che controlla anche il listino di Milano (di cui Qia è primo azionista col 10,3%).
Ma nel carniere del Qatar sono da tempo finiti dai grandi magazzini londinesi Harrods (acquistati nel 2010 per 1,5 miliardi di sterline) a grattacieli come il nuovissimo Shard, sempre a Londra, disegnato da Renzo Piano (il 95% in mano a Qia), piuttosto che intere zone residenziali come Canary Warf (costata 2,6 miliardi di sterline), da compagnie aeree (il 9,99% di IAG, holding cui fa capo British Airways, per la quale sono stati sborsati 1,7 miliardi di sterline) a infrastrutture aeroportuali (come Heatrow, di cui il Qatar controlla il 20%), società di costruzioni come Lagardere (di cui Qia è primo azionista col 12,8%) e Vinci (5,33%).
E poi ancora: squadre di calcio come il Paris Saint Germain, gruppi del lusso come Lvmh (1%) o della distribuzione cinematografica come Miramax (ceduta da Disney nel 2010 a un gruppo di investitori tra cui Qatar Holding, per circa un 1 miliardo di dollari) e l’elenco potrebbe andare avanti con quote in società come Vivendi , Veolia o Siemens. Se in giro per il mondo gli emiri hanno fatto molto shopping in questi anni, non si sono certo risparmiati neppur in Italia, dove anzi gli acquisti sono divenuti nel tempo sempre più consistenti.
Nel bel paese il primo amore sono stati, come spesso capita, palazzi e alberghi: al Qatar fa ormai capo il 100% di Porta Nuova, progetto che sta riqualificando un’area vicino al centro di Milano, ma anche la sede di Credit Suisse a Milano e alcuni immobili a Piazza di Spagna, a Roma , piuttosto che il Grand Hotel Gallia di Milano, acquistato nel 2006 e ristrutturato per 400 milioni di euro, il Four Seasons di Firenze, l’Hotel Pitrizza, il Romazzino, Cala di Volpe e l’Hotel Cervo in Costa Smeralda e altri ancora in tutta la Penisola. Poi è stata la volta della moda: Valentino venne rilevato da Mayhoola nel 2012 per 700 milioni di euro, una cifra considerata all’epoca folle perché pari a 25 volte l’Ebitda, che però oggi si stima valga 1,5 miliardi, il 65% di Pal Zileri lo scorso anno sarebbe invece stato pagato “solo” 100 milioni.
Dulcis in fundo, nel 2013, è stata costituita IQ made in Italy investment company, joint venture paritetica col Fondo strategico italiano che andrà a investire fino a 2 miliardi (di cui 300 milioni versati all’atto della costituzione) nei settori tipici del “Made in Italy”, come alimentare, moda e lusso, arredamento, lifestyle e intrattenimento. Il primo investimento effettuato, quello per rilevare il 28% di Inalca (società del gruppo Cremonini attiva nella produzione di carni bovine e prodotti trasformati a base di carne, salumi e snack), non è stato per ora seguito da altri “botti”, ma più volte si è vociferato di un interesse ad esempio per Saipem. Insomma, lo scivolone su Glencore e Volkswagen potrebbe irritare gli emiri e spingerli a tagliare investimenti che sono risultati poco redditizi, ma probabilmente l’unico effetto che si avrebbe sarebbe quello di vederli reinvestire il ricavato in nuove acquisizioni.