Fiat ha davvero trovato l’America con Chrysler: in giugno le vendite della controllata americana sono salite per il 39esimo mese consecutivo su base annua, con 156.686 vetture consegnate (+8% rispetto al giugno 2012) a fronte di un incremento medio del mercato del 2,1% complessivo a (dal +1,3% segnato in aprile, dato rivisto al rialzo rispetto ad una prima stima di +1%) che fa ben sperare che nel corso dell’anno la domanda da sostituzione e una maggiore confidenza degli americani, legata al graduale rafforzamento del mercato del lavoro (nel solo mese di giugno le imprese private hanno segnato un saldo netto di 188 mila assunzioni) possano far toccare e forse superare i 15,4 milioni di vetture vendute. Nello stesso anno in Italia, mercato nel quale Fiat aveva una quota del 27,46% a fine giugno, se va bene se ne venderanno 1,33 milioni secondo Federauto (mentre l’Ocse parla di vendite in aumento dell’1% in media nel biennio 2013-2014 rispetto ai livelli del 2012, quando si sono avute poco più 1,4 milioni di immatricolazioni, tornando sui livelli del 1979), mentre in tutta Europa (6,8% la quota Fiat a fine maggio), secondo stime Ihs, non se ne immatricoleranno più di 11,3 milioni (-4% rispetto al già difficile 2012) a fronte di una produzione che dovrebbe risultare pari a 19 milioni contro una capacità produttiva teorica di 27 milioni di vetture.
Come dire che nel “vecchio continente”, dove restano sei produttori principali contro i tre statunitensi (anche se Peugeot sembra aver proposto a General Motors, per ora vanamente, un matrimonio Psa-Opel), si utilizza mediamente il 70,3% della capacità produttiva, ma in alcuni paesi, ha già avvertito l’Ocse, la situazione è anche più pesante (il peggiore, manco a dirlo, è l’Italia, dove gli impianti girano al 40% della capacità produttiva teorica, seguono Spagna e Francia dove non si arriva al 60%). E siccome per raggiungere il punto di pareggio, sempre secondo stime, occorrerebbe impegnare almeno l’80% della capacità produttiva di ogni impianto, i conti son presto fatti, occorrerebbe o riuscire a vendere 3 milioni di vetture l’anno in più in Europa rispetto ai livelli attuali, o tagliare di altrettanto la produzione (e visto che in Europa vi sono stabilimenti in grado di produrre mediamente tra le 200 e le 300 mila vetture all’anno stiamo parlando di una decina di impianti da fermare, concentrati per lo più tra Italia, Spagna e Francia).
Per questo, nonostante i profeti di sventura contro la “globalizzazione”, è un bene che Fiat abbia messo un piede negli States (dopo decenni di assenza), in caso contrario dovrei probabilmente passare molto più tempo a raccontarvi di ulteriori chiusure in casa Fiat (che si aggiungerebbero a quelle dolorose di altri gruppi industriali di medie e grandi dimensioni un tempo fiore all’occhiello del “made in Italy”, come Richard Ginori piuttosto che Indesit). Però Chrysler da sola non può essere considerata la panacea di tutti i mali, così come fare affidamento sul solo Brasile come ulteriore significativo mercato extraeuropeo di sbocco è quanto meno pericoloso, visto i segnali di rallentamento della crescita che si colgono da tempo in quel paese (non che in Cina, India o in Turchia, altri mercati dove da tempo Marchionne sta provando a “sfondare”, con esiti più o meno felici, le prospettive appaiano al momento di molto migliori, peraltro). Sarebbe dunque il caso di fare attenzione a qualche piccolo campanello d’allarme,
La 500, ad esempio, ha aumentato in giugno le immatricolazioni rispetto all’anno scorso (4.050 vetture contro 4.004) ma siccome 541 sono stati i primi esemplari della 500L di fatto l’introduzione del nuovo modello “allargato” ha parzialmente cannibalizzato le vendite del modello base (scese da 4.004 a 3.509), mentre il saldo netto sui dodici mesi (+1%) appare in frenata rispetto alla variazione segnata da inizio anno (+4% con 21.612 vetture consegnate). Un mese decisamente sfortunato per la vettura Fiat, visto che in Italia nonostante le 4.927 consegne abbiano fatto guadagnare al modello base la terza posizione nella classifica delle auto a benzina più immatricolate (dietro a Panda e Punto) e nonostante le 2.026 vetture abbiano fatto risultare la 500L la seconda vettura diesel più venduta in Italia (dopo la Citroen C3), problemi di rifornimento legati alla crisi che stanno attraversando molti componentisti Fiat sembrano aver inciso pesantemente sulla capacità del gruppo di consegnare tutti i modelli 500L e 500S ordinati.
Ciò detto, la ripresa sarà pure in arrivo (forse) per fine anno, ma tra le incertezze fiscali e politiche e il perdurante clima di grande cautela di aziende e consumatori, la situazione non sembra destinata a migliorare tanto presto. Quel che rimane da capire è “che c’azzecca” l’investimento di Fiat per raddoppiare quasi la propria quota in Rcs MediaGroup (dal 5,2% al 10,1%) rastrellando i diritti dell’aumento in corso di capitale da 421 milioni complessivi. Si dice che l’idea finale sia di creare un “polo editoriale” (che comprenderebbe anche La Stampa) sotto alla holding di famiglia Exor così da favorire, eventualmente, l’alleanza con un altro importante gruppo editoriale europeo. Ma sinceramente, se ci dimentichiamo dell’importanza “politica” del Corriere della Sera (ammesso e non concesso che gli elettori italiani continuino a farsi influenzare come in passato da testate cartacee più che da altri media), che sinergie possano esservi tra un gruppo editoriale concentrato quasi esclusivamente sull’Italia e da tempo in crisi strutturale e un gruppo industriale che da tempo cerca di sottrarsi alla crisi concentrando i suoi sforzi sui mercati esteri, è un mistero che non ho ancora risolto. E voi?