Quanto conta la fortuna nell’avere successo nella vita? La domanda se l’è fatta non l’uomo della strada italiano, che probabilmente già è convinto conti almeno quanto la capacità di gestire buone relazioni, ma Robert Frank, 71enne professore di economia alla Cornell University che nove anni fa ha rischiato di morire per un infarto cardiaco mentre giocava a tennis e si è salvato solo perché, per sua fortuna, un’ambulanza stava rientrando in quel momento da una precedente chiamata per la quale non si era rivelata poi necessaria.
Combinando esperienza personale e ricerca universitaria Frank ha da poco pubblicato “Success and Luck: Good Fortune and the Myth of Meritocracy” (“Successo e fortuna: la buona sorte e il mito della meritocrazia”) in cui, precisando che chi fa fortuna come Bill Gates, Warren Buffett o Mark Zuckerberg ha in larga parte costruito il proprio successo grazie al proprio impegno, al proprio talento e al duro lavoro, ciò nonostante la fortuna ha un impatto e non è trascurabile.
La fortuna, nota Frank, inizia dalla nascita: chi nasce nei primi tre mesi dell’anno ha più probabilità di diventare un giocatore professionista di hockey in America (il 40% dei professionisti di tale sport sono nati nel primo trimestre del proprio anno, solo il 10% nell’ultimo trimestre), così come chi nasce nell’ultimo trimestre tende ad avere risultati migliori a scuola. Perché?
Perché nel primo caso le scuole di hockey consentono l’iscrizione dei ragazzi in base all’anno solare, nel secondo caso la composizione delle classi avviene in base all’anno scolastico: in entrambi i casi chi si ritrova ad essere il più vecchio della propria classe sembra avere maggiori possibilità di primeggiare (il che dovrebbe portare le famiglie italiane a interrogarsi sul “mito” del far anticipare ai propri figli l’ingresso nel sistema scolastico). Al di fuori del fattore nascita, la fortuna sembra stare acquistando un ruolo sempre più marcato nell’economia moderna.
Frank per oltre 20 anni si è dedicato allo studio dei mercati in cui “chi vince prende tutto”, dove solo pochi riescono a guadagnare cifre enormi mentre migliaia di altri partecipanti al mercato non portano a casa che le briciole. E’ il caso della musica, ma anche di molti servizi su internet, dove aziende come Google o Facebook tendono a creare dei monopoli naturali bruciando sul tempo i concorrenti. Ma ci sono altri servizi, dove la rivoluzione tecnologica si è rivelata realmente “disruptive”, come nel settore della contabilità e amministrazione.
Un tempo ogni contabile in America sapeva di poter competere su base locale, dovendo al limite affrontare la concorrenza di studi associati diffusi in tutto il paese. Ma la tecnologia ha consentito a TurboTax (inizialmente solo uno dei tanti software fiscali sul mercato, ma rapido a far crescere la sua base clienti) di diventare il software online di riferimento per milioni di famiglie e aziende, così migliaia di contabili e fiscalisti sono stati sostituiti da una sola azienda.
In questi mercati, ha potuto constatare Frank, la fortuna gioca un ruolo maggiore che nei mercati tradizionali: in una competizione semplice dove ogni partecipante ottiene risultati solo in base alle proprie competenze, i più dotati di talento vincono sistematicamente. Ma se si introduce una variabile legata alla fortuna, anche solo del 2% (contro il 98% della “competenza”) secondo gli studi di Frank il risultato è sorprendente: in una simulazione con mille partecipanti, solo nel 22% dei casi a vincere sono i più dotati di talento e competenze.
Di più: più cresce il numero dei concorrenti sul mercato, più il peso della fortuna diventa prevalente, tanto che in una simulazione di 100 mila partecipanti solo nel 6% dei casi a vincere sono i più competenti e talentuosi. Come possiamo fare per ridurre l’impatto della fortuna nei mercati in cui “il vincitore prende tutto”, che la moderna tecnologia e la globalizzazione dell’economia rende sempre più frequenti e sempre più vasti? Investendo in economia e infrastrutture, ossia in welfare, così da consentire a tutti di avere delle possibilità di competere, riducendo almeno in parte l’impatto della fortuna.
Il suggerimento appare tanto più interessante in un paese come l’Italia, dove “l’ascensore sociale” sembra essersi fermato da diversi anni, complice un’economia che sostanzialmente non riesce più a crescere da un ventennio. Chi suggerisce ai giovani di non perdere troppo tempo a studiare, insomma, dà un pessimo consiglio, perché rischia di ridurre ulteriormente le loro opportunità che già ora appaiono incerte e maggiormente a rischio di quelle avute dalla generazione precedente. Insomma: studiate, ma fate anche in modo di fare sapere al mondo che siete preparati e motivati. E incrociate le dita, perché la fortuna serve sempre.