Segnali di ripresa importanti da parte di Unicredit, seconda solo a Intesa Sanpaolo tra le maggiori banche italiane e da tempo alle prese con gli effetti della crisi, tradottasi in un’impennata di crediti problematici e nella necessità di fare ricorso prima agli aiuti della Bce (sotto forma di finanziamenti a lunga scadenza erogati con le due Ltro del dicembre 2011 e febbraio 2011) e poi di avviare una robusta pulizia di bilancio anche in vista dei test che la stessa Banca centrale europea ha avviato da inizio anno nell’ambito dell’Asset quality review che dovrebbe portare ad un decisivo rafforzamento del settore creditizio europeo, precondizione per qualsiasi ripresa sostenibile.
Una precondizione che in Italia vuol dire oltre 9 miliardi di euro che verranno e in parte sono già stati richiesti (il Banco Popolare ha bruciato i tempi centrando l’obiettivo di un aumento di capitale da 1,5 miliardi il mese scorso, Bpm è alle prese in questi giorni con un aumento da 500 milioni atteso da oltre un anno, più in là giungeranno le richieste di istituti che vanno da Carige al Credito Valtellinese per arrivare ai 5 miliardi di aumento che Mps ha deciso di varare con un’operazione che dovrebbe svolgersi tra la seconda metà di giugno e la prima metà di luglio) e che ha portato molte banche, Unicredi e Intesa Sanpaolo in testa, ad avviare una serie di cessioni dei portafogli di crediti problematici (deteriorati o meno) per alleggerire i conti, assieme a una dismissione di attività non più ritenute strategiche.
I primi effetti positivi di questa complessa strategia destinata a traghettare il comparto creditizio del vecchio continente, Italia inclusa, da quello che era “prima” della crisi 2008-2010 a quello che sarà “dopo” il definitivo consolidamento della ripresa economica mondiale si sono visti oggi nella trimestrale presentata dal gruppo Unicredit, apparsa superiore alle attese tanto in termini di utile netto (salito a 712 milioni di euro, +58,8% su base annua, rispetto ad attese di mercato attorno ai 550 milioni) sia di accantonamenti (calati a 838 milioni, -28,5%, contro attese attorno agli 1,2 miliardi). L’istituto guidato da Federico Ghizzoni ha potuto evitare di calcare nuovamente la mano perché per la prima volta dal 2008 i crediti deteriorati lordi sono diminuiti a 82,5 miliardi, 1,1 miliardo meno rispetto a fine 2013, con un tasso di copertura del 52,4%, il più alto tra le banche italiane e tra i migliori in Europa (e per le sole sofferenze, stabili sui 35,5 miliardi di fine 2013, la copertura è del 63,4%).
Nel trimestre, che si chiude con un coefficiente patrimoniale “Common equity tier 1” (Cet1) pari al 9,5% adottando i criteri di Basilea III “fully diluted” (ovvero del 9,9% secondo la metodologia “transitional”) ben superiore all’8% minimo richiesto dalle autorità europee, la banca ha anche rimborsato altri 5 miliardi dei fondi Ltro portando a 10 miliardi i rimborsi anticipati; restano così da rimborsare 16 miliardi per i quali il gruppo procederà “gradualmente” facendo ricorso “all’ampia platea di investitori istituzionali e sul money market, preservando l’equilibrio tra le scadenze delle poste di bilancio”. Equilibrio che ha consentito anche, cosa che sicuramente interessa maggiormente le aziende e le famiglie italiane, di registrare un aumento dei crediti verso clientela (ossia dei finanziamenti erogati) a 432,5 (1,5 miliardi in più rispetto a fine 2013) grazie proprio allo sviluppo delle attività di banca commerciale in Italia (che hanno aumentato gli impieghi di 900 milioni di euro nel trimestre) oltre che in Polonia (+500 milioni di euro).
Se si aggiunge che il piano di rifinanziamento 2014 è già stato completato al 36% si è trattato decisamente un buon inizio anno, tanto che Ghizzoni ha potuto sottolineare: “l’obiettivo di utile netto intorno a 2 miliardi di euro che ci siamo dati per il 2014 è più vicino”, il che pare persino una dichiarazione prudente, visto che già oggi nelle casse della banca vi è oltre un terzo di tale obiettivo. Nella conference call con la quale il manager ha illustrato i conti agli analisti, Ghizzoni ha anche aggiunto che anche se la crisi ucraina ha portato ad un rallentamento delle trattative per la vendita degli asset del gruppo in tale paese, il processo non si è interrotto e sono in corso colloqui con un paio di controparti interessate. Come ricorderanno i lettori a differenza di Intesa Sanpaolo, uscita dal mercato ucraino a fine gennaio con la vendita, per soli 74 milioni, della controllata Pravex Bank (acquistata nel 2008 per 490 milioni) a CentraGas Holding, Unicredit è tuttora presente avendo riunito sotto un unico tetto nel luglio del 2013 le controllate Ukrsotsbank e Unicredit Bank Ukraine, cui fanno capo 435 filiali in tutto, 6.200 dipendenti e circa 3,3 miliardi di euro di patrimonio.
Incrociando le dita, dunque, il punto più critico per Unicredit (e forse per l’intera economia italiana) pare alle spalle e qualche segnale di ripresa inizia a vedersi, generando nuovo ottimismo sul titolo (che oggi oscilla in borsa sui 6,39 euro, vale a dire oltre il 53% più in alto delle quotazioni di un anno or sono) ma anche sotto il profilo industriale. Nel trimestre, ad esempio, i nuovi crediti erogati in Italia sono saliti a 2,7 miliardi di euro (+14,3% su base trimestrale e +63,2% rispetto a un anno prima), equamente suddivisi tra finanziamenti di medio-lungo termine alle aziende e alle piccole imprese e credito ai privati per mutui e prestiti personali. Se son rose fioriranno?