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Unicredit corre in borsa, Fincantieri e Mediaset in forte calo

Unicredit si mette in luce in borsa dopo aver annunciato un piano lacrime e sangue per far risalire redditività e solidità patrimoniale. In crisi Fincantieri e Mediaset: le trimestrali hanno deluso e gli investitori hanno preferito scaricare i titoli in borsa.
A cura di Luca Spoldi
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Questa volta Federico Ghizzoni ha impugnato robuste cesoie: anziché i 10 mila esuberi inizialmente previsti, poi portati a 12 mila (ma nelle ultime ore qualcuno aveva alzato il tiro a 14 mila) dal gruppo Unicredit usciranno, entro la fine del prossimo anno, ben 18.200 dipendenti tra esuberi veri e propri e cessioni di attività ritenute troppo poco redditizie o ad eccessivo assorbimento di capitale.

Per la precisione, al netto della riduzione di 6 mila dipendenti legata alla prevista cessione di Ukrsotsbank, la controllata ucraina, e alla costituzione della joint venture Pioneer-SantanderAm, di cui Unicredit avrà il 33%, dei 12.200 tagli 6.900 (il 14% dell’attuale forza lavoro) riguarderanno l’Italia (di cui 5.800 nelle filiali italiane, tedesche e austriache, 800 delle quali verranno chiuse o cedute entro il 2018, e 1.100 nei corporate center).

La risposta del mercato è stata tuttavia positiva, col titolo che prima di chiudere sui valori della vigilia per il generale indebolimento del listino italiano era arrivato a segnare +3%, perché non solo viene escluso ogni ricorso ad aumenti di capitali, ma soprattutto confermato l’obiettivo di arrivare a 5,3 miliardi di euro di utili annui entro il 2018, con un Rote (return on tangible asset) dell’11%, un rapporto costi-ricavi non superiore al 50% e un Core equity Tier 1 “fully loaded” (indicatore di solidità patrimoniale) pari al 12,6% prima della distribuzione dei dividendi.

Numeri grazie ai quali sarà possibile garantireuna cospicua distribuzione di dividendi”, ossia remunerare adeguatamente gli azionisti, cosa di questi tempi tanto più apprezzata in quanto, come già detto, a fronte di tassi vicino o sotto zero (oggi il Tesoro italiano ha collocato altri 6 miliardi di Bot annuali con un rendimento pari al -0,03% lordo annuo) gli investitori di lungo periodo come fondi pensione e fondi sovrani (alcuni dei quali sono già presenti nel capitale della banca italiana) stanno riallocando i propri portafogli alla ricerca di rendimenti adeguati.

Se gli azionisti di Unicredit possono sorridere, quelli di Fincantieri e Mediaset non hanno alcun motivo per farlo. L’azienda pubblica approdata nel luglio dello scorso anno in borsa col collocamento di 450 milioni di azioni (il 38,22% del capitale) a 78 centesimi per azione e che stasera ha visto il titolo chiudere a 46,6 centesimi per azione (-3,3%) ha accumulato nei primi 9 mesi del 2015 96 milioni di euro di perdita (contro i 42 milioni di euro di guadagno dello stesso periodo dello scorso anno), un risultato nettamente inferiore alle attese deludendo gli analisti sia per quanto riguarda la produzione di navi da crociera, sia per la controllata brasiliana Vard.

Così, nonostante la notizia di nuove commesse per due navi da crociera per Viking e per un ulteriore (settimo) pattugliatore per la Marina Militare italiana, il commento ai dati della trimestrale è stato generalmente che gli stessi dimostrano una volta di più come i problemi di Fincantieri non riguardino tanto il portafoglio ordini o il fatturato, ma nella capacità di raggiungere risultati in termini di margini di profitto.

Mediaset dal canto suo ha fatto un tuffo all’ingiù del 9,5% dopo aver diffuso ieri sera i dati dei nove mesi, chiudendo a 4,27 euro per azione, con una capitalizzazione ridottasi a meno di 5,6 miliardi di euro. Ad allarmare gli investitori sono stati in particolare la crescita oltre le previsioni dei costi nel terzo trimestre. La reazione degli analisti non si è fatta attendere: Goldman Sachs, Hsbc ed Equita Sim hanno tagliato giudizi e prezzi obiettivo sul titolo, rimuovendolo anche dagli elenchi di titoli consigliati, Barclays, che già aveva tagliato il giudizio, ha ulteriormente limato il prezzo obiettivo.

Sempre nel trimestre chiuso al 30 settembre il gruppo del Biscione ha visto i ricavi pubblicitari in Italia stazionare a 1,36 miliardi di euro lordi, in linea col risultato dell’analogo trimestre del 2014, a fronte di una raccolta pubblicitaria netta di 300 milioni di euro, in crescita del 3% su base annua. Attenzione però: Mediaset ha affermato che a ottobre la crescita della raccolta pubblicitaria in Italia è stata pari all’incirca al 2% annuo, dunque in frenata rispetto al dato trimestrale, e che si aspetta di chiudere il 2015 con una crescita dei ricavi dell’1% circa (contro il +0,5% dei primi 10 mesi ed attese di consensus attorno all’1,2%).

La sensazione è dunque che oltre ai costi pesi anche una crescita della raccolta pubblicitaria che migliora molto lentamente (alcuni analisti hanno infatti definito la trimestrale il “terzo falso positivo” per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria), nonostante solitamente gli investimenti pubblicitari siano considerati “early cyclicals” ossia tra i primi a ripartire in presenza di una ripresa economica più generale.

Ultimo ma non meno importante (e negativo) particolare: la pay tv, per la quale sono stati confermati 200.000 nuovi abbonati nel trimestre, sembra non generare più molto ottimismo sull’andamento della raccolta di ulteriori nuovi clienti e sta assorbendo più costi di quanto ci si aspettasse, contribuendo ad alzare le previsioni sui costi dell’intero esercizio di 35-40 milioni di euro. A questo punto il titolo è apparso a molti sopravvalutato e la correzione è stata implacabile: anche così il titolo da inizio anno guadagna il 24%.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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