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Opinioni

Un Paese in svendita

La cessione di Telecom è solo l’ultimo tassello di un processo di “svendita” in atto da tempo. Ma che futuro ha un Paese che svende i propri punti di forza?
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La cessione di Telecom è solo l'ultimo atto di una rappresentazione scenica che va avanti da anni ormai. La lenta ma inesorabile perdita di competitività delle nostre aziende, la cessione di marchi storici ad investitori stranieri (con tutto ciò che comporta in una prospettiva di medio – lungo periodo), la costante ricerca di capitali stranieri: segnali inequivocabili di una crisi che avrà conseguenze durature, con il nostro Paese che, anche una volta passata la bufera, "non sarà più lo stesso".

Scriveva qualche giorno fa il nostro analista finanziario Luca Spoldi: "L’Italia sta fallendo un pezzo alla volta, mentre a Roma ci si perde in discussioni infinite che riguardano la sorte di un vecchio signore milanese che da vent’anni ha illuso gli italiani che il futuro riservava loro solo grandi opportunità, le crisi erano invenzioni della stampa e la colpa di tutti i guai del paese erano rappresentati dalla politica (dei suoi avversari, ovviamente) e da una magistratura “di parte”[…] sono ormai in vendita intere aziende enogastronomiche, pastifici, industrie tessili, macchinari da cantiere, attrezzature per produrre birra e naturalmente impianti e attrezzature tecnologici e informatici, alberghi e complessi edilizi vari, per non parlare di esercizi commerciali e ristoranti. Insieme con le fabbriche e i negozi spariscono non solo migliaia di posti di lavoro e viene messa a rischio la sopravvivenza stessa di centinaia di migliaia di nuclei familiari, ma anche competenze e “know-how” accumulatesi in decine di anni, marchi storici, rapporti commerciali consolidati".

Anche senza voler considerare le questioni Telecom, Alitalia, Parmalat o Fiat, l'elenco delle eccellenze italiane "rilevate" da fondi di investimento stranieri è eloquente e rivela un cambiamento radicale anche nei rapporti di produzione – consumo. Qualche settimana fa vi fornivamo l'esempio delle "eccellenze italiane in campo alimentare", con un elenco che la dice lunga su quanto questo processo sia in stato avanzato: Star, Gancia, Fiorucci, Pernigotti, Scotti, Delverde, Bertolli, Galbani, Carapelli, Sasso, Orzo Bimbo, Peroni, Invernizzi, Locatelli, San Pellegrino, Buitoni, Perugina (ma l'elenco è ancora lungo).

E quanto questa situazione possa influire sulle dinamiche occupazionali è cosa piuttosto semplice da prevedere (tra delocalizzazione, spostamento della produzione e l'ormai proverbiale "razionalizzazione degli impianti" che si traduce inequivocabilmente in cassa integrazione – mobilità – licenziamenti). Ma tant'è. Pezzi del comparto produttivo del Belpaese sono in svendita, mentre il Governo vara "Destinazione Italia", un piano per "attrarre investimenti dall'estero", con tanto di viaggio promozionale del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Un piano per convincere gli investitori stranieri a puntare sul nostro Paese e, certamente non in seconda battuta, per anticipare il piano di privatizzazioni dal quale il Governo conta di ricavare risorse fondamentali per evitare l'ennesimo buco nei conti pubblici. E che ha un enorme bisogno di "moneta straniera". Insomma, in parole povere, prepariamoci all'ennesima svendita.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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