Estate: le bombe d’acqua che in queste ore stanno colpendo tutta Italia allontanano il caldo e impensieriscono forse chi sta per partire per le sospirate vacanze estiva, per le quali gli italiani sembrano propensi a indebitarsi sempre più, se è vero come emerge dagli ultimi dati dell’Osservatorio sul credito al consumo curato da Facile.it e Prestiti.it, che la richiesta media fatta dagli italiani per pagare le ferie è salita a 5.300 euro contro i 4.100 euro chiesti nel 2012, per restituire i quali saranno necessari circa tre anni e mezzo. Ma le “belle notizie” potrebbero ancora dover arrivare, si fa per dire. La situazione in Ucraina e in Iraq, infatti, non sta affatto migliorando per quanto i giornali ne stiano parlando poco e il rischio in entrambi i casi è che se dovesse esserci un ulteriore peggioramento della situazione a schizzare alle stelle, di qui al prossimo autunno, potrebbero essere i prezzi di gas naturale e petrolio, vale a dire riscaldamento e benzina.
Per quanto riguarda l’Ucraina (e il gas naturale) a fare da calmiere è stato in queste ultime settimane un primo accordo raggiunto tra Kiev e Mosca riguardo il pagamento di parte dell’arretrato dovuto per le pregresse forniture di gas da parte di Gazprom, che però giusto oggi, dopo il fallimento delle trattative portate avanti con la mediazione della Commissione Ue (e dopo aver siglato accordi strategici con la Cina poche settimane fa), ha fatto sapere che “nel pieno rispetto del contratto vigente tra le parti”, si è passati alla modalità di pagamento anticipato con Naftogaz Ukraine (la società energetica di stato di Kiev) per quanto riguarda le nuove forniture di gas (e dunque da oggi l’Ucraina riceverà solo la quantità di gas per cui avrà pagato), cosa che per il momento non mette in pericolo le forniture alla Ue, ma certo non fa calare la tensione ed anzi il rischio di future limitazioni alle forniture di gas russo all’Europa resta concreta.
Quanto al petrolio, in un report gli analisti di Societe Generale si sono chiesti perchè finora il prezzo del petrolio sia salito “solo” a poco più di 107 dollari al barile, nonostante l’avanzata dei ribelli sunniti in Iraq, segnalando come ciò sembri dipendere dal fatto che il blocco di parte della produzione di greggio iracheno (quella dell’impianto di Kirkuk, che esportava sui 250 mila barili al giorno verso la Turchia) era in realtà già iniziato a marzo e dunque era stato già assorbito dal mercato. Piuttosto a preoccupare gli esperti è l’eventualità di una caduta in mano ai ribelli dell’Isis del complesso di Basrah, negli ultimi mesi attorno ai 2,5-2,6 milioni di barili al giorno, un volume superiore alle riserve non utilizzate dall’Arabia Saudita (attorno a 1,75 milioni di barili al giorno) la cui perdita potrebbe far ulteriormente schizzare le quotazioni del petrolio. E’ un’ipotesi concreta? Per ora solo in parte: il Sud dell’Iraq è infatti a maggioranza sciita e a protezione degli impianti petroliferi sono schierati 30 mila uomini che si aggiungono alle milizie sciite e alle forze dell’esercito regolare iracheno.
La crisi irachena resta tuttavia da inquadrare nelle tensioni geopolitiche a sfondo religioso della regione del Medio Oriente e appare intrecciata con quella siriana (Isis, considerato sin dal 2011 uno “spin-off” di Al-Qaeda, significa del resto “Islamic State of Iraq and Syria” e si era già vista in azione contro il regime sciita di Assad) con Arabia Saudita, “filo-sunnita” e considerata vicina ai ribelli, e Iran, che è invece storicamente “filo-sciita” e dunque a favore dell’attuale governo di Baghdad tanto che ha già messo in preallarme tre battaglioni delle sue forze “d’elite”, i “Quds” (uno dei quali sarebbe già in Iraq, mentre altri due sono schierati lungo il confine tra Iran e Iraq). Gli Stati Uniti, che appoggiano l’Arabia Saudita ma da anni combattono Al-Qaeda, stanno valutando un appoggio militare alle forze irachene, ma si trovano a dover fare i conti con un’eredità pesante della (duplice) guerra del Golfo, che a distanza di anni non ha portato alcuna pacificazione nella regione (tanto meno ha prodotto esiti anche lontanamente “democratici”) e come si vede non è servita a mettere le istallazioni petrolifere strategiche (per l’Occidente) al riparo dal rischio di attentati.
Nel complesso gli analisti di Societe Generale attribuiscono solo un 20% di probabilità (per ora) di una interruzione parziale o totale della produzione di Basrah. Più che temere significativi rialzi dei prezzi del petrolio nell’immediato, gli esperti sembrano non escludere (anche nel caso in cui l’Arabia Saudita e altri paesi del Golfo Persico aprissero i rubinetti per compensare la minore produzione irachena) che le quotazioni petrolifere si possano mantenere su livelli elevati per tutta l’estate e l’inverno e abbiano nella primavera del prossimo anno un calo minore a quello cui visto a inizio 2014. Questo stato di cose potrebbe tuttavia avere un esito finora imprevisto: più i prezzi si manterranno elevati, più Stati Uniti (ed Europa) avranno interesse a recuperare le relazioni diplomatiche con l’Iran, da anni interrotte, consentendo a Teheran di tornare a produrre (ed esportare) fino a 1 miliardo di barili di petrolio al giorno, una produzione che compenserebbe ampiamente il rischio di perdita della produzione irachena.
Non solo: a quel punto Teheran, che negli ultimi decenni ha “flirtato” con l’ex Unione Sovietica, potrebbe allentare i legami con Mosca, spuntando anche l’eventuale arma di ricatto di Vladimir Putin verso l’Occidente. Nulla ti tutto questo è peraltro al momento ipotizzabile come uno sviluppo facilmente realizzabile, come difficile appare stimare, ora, quali impatti potrebbero esservi per gruppi italiani come Eni e Saipem, impegnati con notevoli investimenti nelle due aree a rischio. Tuttavia il solo fatto che si inizi a valutare questa ipotesi dopo decenni di “guerra fredda” (e pure calda) tra l’Occidente e l’Iran potrebbe avere ripercussioni ben superiori all’aggravio, quasi certo per i mesi a venire, dei costi di trasporto e/o di riscaldamento in Italia. Aggravio che tuttavia metterebbe ancora più a rischio la ripresa economica del “Belpaese” (e la tenuta dei suoi conti, se non si riuscirà a mutare in qualche modo l’attuale impostazione di “austerità fiscale” fortemente voluta in Europa dalla Germania). Insomma: in attesa che le cose migliorino, potrebbero persino peggiorare. Non è una novità ma sarà meglio tenerne conto prima di fare ulteriori debiti per andare in ferie, non credete?