Il dilemma è uno solo alla fine della giornata: Alexis Tsipras sta bluffando o pensa davvero di avere una carta vincente da giocare? Il premier greco è volato a Mosca ad incontrare Vladimir Putin, proprio mentre l’Unione europea (e gli Usa) restano freddi di fronte alle reiterate “provocazioni” del presidente russo che dal canto suo si dice sempre più preoccupato per l’aumentata influenza dei paesi della Nato nell’Est Europa. Tsipras non intende fare da paciere, ruolo per il quale si sono già spesi, con risultati altalenanti, Francoise Hollande e Angela Merkel, quanto cercare di sfruttare ogni possibile appiglio gli venga offerto per sottrarsi alla pressione negoziale esercitata da Berlino e pertanto da Bruxelles (se preferite potete invertire l’ordine, ma il risultato non cambierebbe) su Atene.
Pressione che si sarebbe spinta negli scorsi giorni sino a “caldeggiare” un rimpasto di governo che annacqui il peso politico della sinistra di Syriza allargando la maggioranza ai socialisti (moderati) del Pasok, che peraltro, al di là della leicità di una simile "intromissione" negli affari interni di uno stato membro da parte della Ue, con soli 13 seggi su 300 potrebbero semmai “sostituire” o bilanciare i Greci Indipendenti (partito di destra che con Syriza ha in comune l’avversione agli accordi sottoscritti a suo tempo da Atene con la “troika” Ue-Fmi-Bce), ma tant’è. Tsipras oggi sottolinea che la guerra economica combattuta a colpi di sanzione dalla Ue (e dagli Usa) contro la Russia rischia di portare a una nuova Guerra Fredda, e annuncia assieme a Putin che gli scambi commercaiali tra Russia e Grecia sono destinati a crescere, sottolinea che si è discusso di “accordi bilaterali in particolare nel settore dell’energia”.
E qui casca l’asino, perché già stamattina aveva provocato reazioni di fastidio sui mercati europei la notizia che (ieri) a Budapest i ministri degli esteri di cinque paesi (Ungheria, Serbia, Macedonia, ma anche Grecia e Turchia) hanno sottoscritto una dichiarazione d’intenti con cui segnalano la disponibilità dei rispettivi paesi a prendere parte al progetto di un nuovo gasdotto (“Turkish Stream”) al quale potrebbe a breve aderire anche l’Austria. Il progetto in questione è infatti un’alternativa al defunto South Stream, il cui progetto (che coinvolgeva le italiane Eni e Saipem) è stato annullato nel dicembre dello scorso anno da Mosca, ufficialmente a causa delle sanzioni economiche di Stati Uniti e Unione Europea contro la Russia e le sue imprese, a seguito della crisi con l’Ucraina.
Se il progetto dovesse effettivamente decollare, un primo tratto del nuovo gasdotto potrebbe essere pronto già entro la fine del prossimo anno e Gazprom potrebbe riuscire nel suo intento di fornire gas ai paesi europei (e alla Turchia) bypassando l’Ucraina senza dover modificare in modo significativo gli accordi già siglati coi propri clienti internazionali. Al di là dell’impatto economico, l’impatto politico di un simile nuovo quadro del mercato del gas è evidente, dato che Mosca ritroverebbe un ruolo di attrazione per i paesi dell’Est Europa e del basso Mediterraneo che aveva perso negli ultimi anni, mentre Atene (almeno secondo le speranze di Tsipras) potrebbe trovare un primo alleato importante (il secondo dovrebbe essere la Cina, con cui Tsipras tenterà di tessere ugualmente nuove relazioni politico-economiche) per cercare un supporto finanziario in alternativa agli aiuti europei.
Il problema di fondo è che la Commissione Ue, salvo colpi di scena, dovrebbe opporsi ad ogni joint-venture o accordo bilaterale con la Russia e le sue imprese, finché le sanzioni saranno in vigore, tanto più in un mercato delicato come quello dell’energia. E’ dunque prevedibile una lunga battaglia diplomatica e legale per evitare “derive” indesiderate, ma come detto probabilmente Alexis Tsipras non conta di arrivare a concretizzare gli accordi che oggi ha enfaticamente annunciato, parlando di un futuro auspicabile ruolo della Grecia come “hub dell’energia” nella regione europea. In verità Atene continua ad avere problemi molto più pressanti che non lo sviluppo di nuove alleanze politiche a medio termine. Domani (il 9 aprile) dovranno essere rimborsati altri 458 milioni di euro di aiuti al Fondo monetario internazionale, mentre il 14 Atene dovrà staccare un altro assegno da 420 milioni sempre in favore dell’Fmi. A fine mese poi ci sarà la consueta rata di pagamento di pensioni e stipendi per 1,5 miliardi di euro.
E’ vero che Atene oggi ha collocato 1,138 miliardi di euro di titoli di stato a 6 mesi, con rendimento stabile al 2,97%, ma a maggio le cose cambierebbero, con ulteriori 950 milioni di euro di rimborsi dovuti al Fmi da sommare a 2,4 miliardi di stipendi, pensioni e altre voci della spesa pubblica. Senza accordo con la Ue (e dopo che la Bce ha escluso i titoli di Atene dalla lista di quelli utilizzabili come collaterali per rifinanziare le banche greche) la Grecia rischierebbe nuovamente la bancarotta. I sorrisi e gli abracci sotto ai riflettori con Vladimir Putin, la sottoscrizione di dichiarazioni d’intento su Turkish Stream e i previsti viaggi a Pechino sembrano così ai mercati l’ennesimo disperato “bluff” di Tsipras per mantenere un minimo margine di autonomia rispetto ai dicktat della “troika”.
Agli occhi deegli investitori, alla fine tutto dipenderà da quanto Berlino e gli altri paesi europei saranno disposti a concedere, ancora, alla Grecia, più che dalla volontà di Atene di rispettare, con le buone o con le cattive, gli impegni a suo tempo sottoscritti. L’auspicio non può che essere che al termine del negoziato in corso si trovi una posizione di compromesso che consenta alla Grecia di non subire passivamente ulteriori misure di “austerity” pesante, visto lo stato precario della sua economia, e ai contribuenti europei di non dover dire addio a tutti i loro soldi, trasformatisi in questi anni in aiuti alla Grecia. Ma solo sgombrando il campo da facili illusioni di fantomatici “aiuti dall’Est” si potrà davvero pensare di sottoscrivere un simile compromesso e tenervi poi fede da ambo le parti.