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Opinioni

Trasparenza e derivati, un ossimoro?

La trasparenza sarebbe auspicabile quando si parla di transazioni finanziarie su derivati. Ma spesso resta una chimera, sia nei bilanci sia sulla stampa del Belpaese. Specie se tocca da vicino banche o imprese tricolori…
A cura di Luca Spoldi
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La Banca Monte dei Paschi di Siena

Trasparenza, questa sconosciuta. Soprattutto se si parla di banche e assicurazioni. Specialmente quando di mezzo ci sono derivati. Succede in tutto il mondo, ma in Italia un poco di più, perché il “Belpaese” quanto a opacità di rapporti (tra banche e aziende, tra banche e famiglie, tra imprese e famiglie, tra banche, imprese e famiglie e politica…) e transazioni finanziarie non è secondo a nessuno. Curiosamente, però, di questo tema si parla assai poco sulle grandi testate giornalistiche italiane (su carta, televisive e finanche sul web), a meno che non coinvolga quasi esclusivamente istituti esteri. Eppure sarebbe il caso di parlarne un po’ visto che il rischio è di scoprire in ritardo che qualcosa non era come avrebbe dovuto essere, magari con relativi danni per i soggetti coinvolti, che però, comprendete, molte volte sono anche coloro i quali (banche, grandi aziende, partiti politici) direttamente o indirettamente sovvenzionano o controllano la stampa italiana “vecchia” o “nuova” che sia.

Così curiosamente mentre si è parlato abbastanza diffusamente della condanna per truffa inflitta dal Tribunale di Milano a quattro celebri istituti internazionali (Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa Bank) che avrebbero causato un danno da 100 milioni di euro al Comune di Milano, avendo riconosciuto i giudici di primo grado la violazione della legge 231 del 2001 che dispone la responsabilità amministrativa delle aziende (in questo caso delle banche) per reati commessi dai propri dipendenti (nove funzionari ed ex funzionari dei medesimi istituti, a loro volta condannati), disponendo il pagamento di una multa di un milione di euro per ciascuna delle 4 banche imputate (alle quale sono stati confiscati 88 milioni di euro quale profitto dei reati ascritti), fino a questa sera non si è parlato molto di un nuovo esempio di “opacità” che riguarderebbe il Monte dei Paschi di Siena.

L’istituto senese, da tempo tenuto d’occhio dalle autorità bancarie italiane ed europee per una certa fragilità del suo stato patrimoniale, che ha portato il governo italiano a intervenire due volte in meno di due anni, inizialmente con l’emissione di “Tremonti bond”, poi sostituiti da “Monti bond” per un importo complessivo di 3,9 miliardi di euro (essendo gli uni come gli altri strumenti finanziari ibridi il pagamento del cui interesse, pari all’8,5% annuo, potrà avvenire anche con l’emissione di ulteriori bond o azioni dello stesso Mps), avrebbe infatti stipulato con Deutsche Bank, nel dicembre 2008 (quando la crisi finanziaria seguita al collasso di Lehman Brothers di soli due mesi antecedente era in pieno svolgimento), un accordo in base al quale l’istituto tedesco si impegnava a erogare a quello italiano un finanziamento da 1,5 miliardi di euro per chiudere un contratto derivato stipulato qualche anno prima su titoli Intesa Sanpaolo.

Su tali titoli, spiega Bloomberg che cita un documento di una settantina di pagine di cui sarebbe entrata in possesso, la banca tedesca aveva scommesso al ribasso, con Rocca Salimbeni quale controparte che dunque avrebbe guadagnato da un rialzo dei titoli. Rialzo che la crisi finanziaria di quei mesi ha trasformato in una clamorosa perdita: 367 milioni da pagare cash, cosa che l’istituto non poteva fare a meno di non contabilizzare il pesante rosso. Col nuovo accordo Deutsche Bank forniva la liquidità a Mps per chiudere il derivato in perdita, aprendo una nuova scommessa (di durata decennale) sull’andamento dello spread sui tassi d’interesse dei titoli di stato italiani. Scommessa perdente (“losing bet”) secondo sei esperti ai quali l’agenzia americana avrebbe fatto vedere la documentazione in suo possesso.

In effetti nella relazione trimestrale del settembre 2009 si parla della messa in liquidazione  (avvenuta a giugno dello stesso anno) “della controllata Santorini”, che altro non era se non un veicolo finanziario di diritto irlandese nel quale Mps aveva acquistato una quota nel 2006, iniziando però ad operare proprio dalla fine del 2008, quando, segnala Bloomberg, Deutsche Bank aprì due “digital option” con Mps come controparte sull’andamento dei tassi di interesse legati all’euro (una sarebbe stata positiva per Deutsche Bank, l’altra per Mps). Secondo Bloomberg dai documenti sembrerebbe che la banca tedesca abbia subito incassato una sessantina di milioni di euro per un prestito con scadenza a fine 2018 e che Mps abbia fornito una garanzia contro la svalutazione di titoli di stato italiani, venduti ai tedeschi, per un ammontare di 1,5 miliardi di euro, equivalente guarda caso al finanziamento ricevuto.

Nata sotto una cattiva stella, l’operazione “Santorini” non avrebbe portato fortuna a Rocca Salimbeni: nel 2007 avrebbe infatti generato perdite per 87 milioni di euro, nel 2008 per altri 62 milioni, mentre alla liquidazione nel giugno del 2009 Mps avrebbe contabilizzato ulteriori 224,4 milioni di perdite. In tutto sono 373,4 milioni di perdite, di cui però “solo” 286,4 milioni dal 2008 in poi. Mps, che solo in serata ha precisato in una nota di aver avviato “approfondite analisi che riguardano alcune operazioni strutturate poste in essere in esercizi precedenti e ad oggi presenti nel portafoglio della banca”, potrebbe sostenere di aver limitato in qualche modo i danni pagando meno dei 367 milioni altrimenti dovuti all’istituto tedesco già a fine 2008. Ma certo non si è trattato finora di un’operazione particolarmente fortunata, né di un esempio di massima trasparenza.

Vano è forse cercarla in transazioni che per loro natura coinvolgono strumenti (come i derivati, opzioni, swap o future che siano) che si svolgono su mercati non regolamentati (“over the counter”), con giri d’affari di migliaia di miliardi di euro l’anno e che da anni resistono a ogni tentativo di sia pur minima regolamentazione. Mercati e strumenti importanti per garantire liquidità alle banche, certo, che tuttavia sarebbe meglio riuscire a rendere un poco meno opachi, anche sulla stampa italiana. Tanto più che il rischio è che la stampa estera possa usare storie come questa per scopi non solamente informativi: chi avrà fornito il documento a Bloomberg e perchè? Di questi tempi, con pezzi importanti dell’economia italiana in vendita o già venduti (spesso a concorrenti esteri) qualche dubbio malizioso è consentito anche se non dimostrabile.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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