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Tragedia greca, nuovo atto: uscita dall’euro o finale alternativo?

La Grecia ha mandato a Bruxelles la lista delle riforme economiche per ottenere ulteriori 7,2 miliardi di aiuti. Ma non è detto che questo basti a superare la crisi: a quel punto prima dell’uscita dall’euro sarebbe possibile ancora un finale alternativo.
A cura di Luca Spoldi
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La tragedia (o commedia?) greca vive un nuovo atto: oggi pomeriggio da Bruxelles è stata confermata la ricezione della famosa lista di riforme con cui Atene dovrebbe riuscire a convincere i partner europei (ossia in sostanza la Germania, con buona pace degli altri suscettibili “leader minimi” del vecchio continente, irritati perché in settimana Alexis Tsipras era volato a Berlino per trattare la resa direttamente con Angela Merkel) della sua intenzione di “rispettare i patti” e sbloccare così gli ultimi 7,2 miliardi di euro che dovrebbero dare un minimo di respiro alle casse pubbliche greche, che solo di pensioni e stipendi vedono uscire ogni fine mese circa 1,5 miliardi di euro, senza contare i primi rimborsi (come quelli di due tranche di prestiti dell’Fmi, la scorsa settimana) e il pagamento degli interessi sui titoli detenuti dalla Bce.

Non c’è da sperare naturalmente che l’invio della lista ponga la parola fine alla commedia/tragedia che da inizio anno continua a tenere desta l’attenzione dei mercati. Da un lato infatti Tsipras e il ministro dell'economia Varoufakis (che oggi ha smentito decisamente l’ipotesi, circolata in questi giorni sulla stampa tedesca, venendo subito rilanciata da quella greca, di sue prossime dimissioni) cercheranno di convincere di poter rispettare i patti senza tagliare pensioni e stipendi, considerate “misure recessive” destinate a far svaporare rapidamente il vantaggio elettorale di Syriza, dall’altro ad Angela Merkel poco interessa del destino dell’attuale governo ateniese, quanto di rassicurare il proprio elettorato, che già l’accusa di aver concesso sin troppo credito ai “porcellini” del Sud Europa, che stavolta non verranno fatte ulteriori concessioni in bianco.

Sebbene i toni siano concilianti e molti prevedano che dopo il consueto batti e ribatti un accordo sarà trovato, semmai sbloccando parzialmente i fondi così da tenere stretta la presa sul governo greco, l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro e dall’eurozona resta sullo sfondo anche se come ipotesi estrema. Prima di arrivarci, secondo l’agenzia Reuters, il paese (che ancora in febbraio ha visto i depositi bancari calare di 7,8 miliardi di euro) potrebbe essere obbligato a introdurre “mezzi di pagamento alternativi, in parallelo all’euro” per fare fronte a pagamenti interni. In sostanza si reintrodurrebbe una “nuova dracma”, chiamata Iou, dando vita ad un regime di doppia valuta simile a quello adottato dalla Cina (che usa il reminbi per i pagamenti sul mercato interno, mentre lo yuan viene usato per i pagamenti verso l’estero).

Inevitabile, a quel punto, sarebbe anche l’introduzione di controlli sui movimenti di capitali, del resto già oggi sempre più probabili se il deflusso di capitali dal sistema bancario andrà avanti. Gli Iou sarebbero una promessa di pagamento formalmente in euro che inizierebbe subito a circolare a forte sconto dall’euro vero e proprio. Sarebbe l’uovo di Colombo: il paese svaluterebbe pesantemente, ma non uscirebbe formalmente dall’euro. Certo, ci sarebbe il “piccolo particolare” che nessuno accetterebbe volentieri questo mezzo di pagamento destinato a veder ridotto rapidamente il suo valore, ma il governo potrebbe comunque perseguire questa strada prima che uscire definitivamente dall’euro nella speranza di una futura ripresa che consenta di ritirare poi gli Iou dopo qualche anno (scaricando tuttavia sulle spalle di famiglie, banche e imprese greche il peso implicito del “default” mascherato).

Che senso avrebbe una simile soluzione “alternativa”? Quella di evitare “il peggio” per la Germania e gli altri “duri e puri” dell’euro, ossia di dimostrare che uscire dall’euro stile “Hotel California” (dove come cantavano gli Eagles “è sempre possibile entrare, ma non potete mai uscire”), come l'ha definito Varoufakis, è in realtà possibile e forse meno apocalittico di quanto non si dica, cosa che potrebbe indurre altri a provare questa strada in caso di ulteriori difficoltà o prolungata assenza di crescita. Per “indorare la pillola” i governi di Eurolandia potrebbero concedere un nuovo prestito in euro, con cui rimborsare i prestiti del Fmi e rinnovare quelli ottenuti dal fondo anti-crisi europeo e dalla Bce, finché la Grecia non sarà in grado di ritornare autonomamente, come fatto lo scorso anno dall’Irlanda, sui mercati del debito.

Postilla non trascurabile: oltre al default di una parte cospicua di banche e imprese, interverrebbe un “default del default” già intervenuto nel 2012 sul debito greco e dunque la sostanziale dichiarazione che anche i titoli all’epoca concambiati e già ora di durata elevata (oltre 30 anni in media) e con interessi fissi molto modesti (l’1,5%) non saranno mai rimborsati realmente, ma soltanto rinnovati periodicamente venendo trasformati in blocco in un “irridemibile”. Il che in tempo di tassi vicino a zero, quando non negativi, per gran parte degli emittenti di eurolandia potrebbe persino convincere gli investitori, dando forse modo ad Atene, cadute le ultime illusioni, di tornare lentamente sulla via di una ripresa meno “drogata”, sia pure dopo un lungo e doloroso purgatorio che finora Tsipras e Varoufakis sembrano convinti di poter ancora evitare.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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