Seduta da dimenticare per i titoli del settore moda-lusso italiano: colpa di Tod’s, in calo del 4,5% a 94,55 euro dopo che ieri la società ha reso noti i conti del quarto trimestre del 2013, apparsi deludenti (l’utile operativo è calato anno su anno del 37% a 24,7 milioni di euro), oltre che dell’intero esercizio, chiuso con un utile netto in calo dell’8% a 133,8 milioni contro i 145,46 milioni dell’anno prima, a fronte di un utile operativo in calo del 5,5% a 236,3 milioni (239,2 a cambi costanti) dai 250 milioni del 2012. Il tutto mentre il fatturato è rimasto stabile (+0,5%) a 967,5 milioni di euro. A pesare sulla redditività sono stati in particolare l’incremento dei costi legati agli affitti (101,8 milioni, pari al 10,5% dei ricavi) e al costo del lavoro (151,7 milioni, il 15,7% dei ricavi).
Nonostante questo il Cda proporrà ai soci di confermare la distribuzione di un dividendo per azione pari a 2,70 euro come l’anno passato, con un “pay out” che sale così al 61,8% dell’utile, ben più elevato di quello di colossi come Enel, che stamane ha preferito limare il dividendo da 15 a 13 centesimi per azione, nonostante un utile netto ordinario salito del 10,3% a 3,119 miliardi, con un pay out di circa il 40% che solo dal prossimo anno dovrebbe salire “ad almeno il 50%” secondo quanto ha annunciato la società. Ma neppure il dividendo “generoso” che l’anno prossimo potrebbe confermarsi o salire ulteriormente (a fine gennaio Societe Generale, che sul titolo ha un rating “sell”, ossia ne consiglia la vendita, ha stimato in 3,40 euro il dividendo a 12 mesi, stimando un pay out per il 2014 del 56% e del 57% per l’anno successivo), è bastato a evitare che scattassero vendite sul titolo.
Da una parte gli investitori sono infatti rimasti delusi dalle indicazioni molto prudenti fornite nella conference call dal direttore finanziario, Emilio Macellari, che ha sottolineato come da inizio anno le vendite a parità di perimetro siano in calo del 5,4% anche a causa della frenata del mercato cinese. Dall’altra dopo i dati e i commenti del management gli analisti hanno iniziato a rifare i conti e ritoccare giudizi e prezzi obiettivo: così MainFirst ha tagliato il prezzo obiettivo per i prossimi 12 mesi a 88 euro da 94 euro, confermando il giudizio “underperform” (farà peggio del mercato), Jp Morgan ha confermato il suo giudizio “neutrale” ma ha portato il target price da 102 a 92 euro per azione dopo aver ridotto le stime sugli utili per azione 2014 e 2015 rispettivamente del 6% e dell’11%.
Eccezione positiva, gli analisti di Citigroup hanno invece confermo la raccomandazione “buy” (acquistare) come pure il prezzo obiettivo (132 euro) segnalando tuttavia come l’andamento negativo di ricavi e utili che ha colpito il gruppo dalla scorsa estate “probabilmente ritarderà la ripresa del titolo” mentre le previsioni di consenso sui risultati futuri potrebbero calare del 5% in termini di Ebitda (Margine operativo lordo) 2014. Tuttavia per gli esperti della banca americana la “solida gestione” del circolante e la posizione di cassa dovrebbero “supportare un maggior pay out in futuro e/o la distribuzione di un dividendo straordinario”, mentre è apprezzabile l’implementazione da parte del management “di una strategia forte e di lungo periodo, che consiste nel maggior controllo sulla distribuzione e sulla penetrazione con successo e redditività in nuovi mercati”.
Quello che però sembra essere il maggior “appeal” del gruppo controllato dal patron della Fiorentina, Diego Della Valle, resta per il momento la possibilità che Tod’s possa divenire in futuro preda di qualche concorrente estero di maggiori dimensioni. Con una capitalizzazione attorno ai 3 miliardi di euro il gruppo marchigiano (che oltre a Tod’s possiede i marchi Hogan, Fay e Roger Vivier, quest’ultimo in decisa crescita avendo visto le vendite passare dai 74,5 milioni del 2012 ai 113,7 milioni nel 2013) soffre l’esposizione al mercato italiano (dove le vendite sono calate del 15,9% da 383,9 a 323 milioni di euro, un terzo del giro d’affari complessivo) ed europeo Italia esclusa (207,8 milioni di fatturato lo scorso anno, appena il 3,8% in più dei 200,3 milioni dell’anno precedente).
Al confronto Salvatore Ferragamo (a sua volta sottotono oggi in borsa), forte di 3,8 miliardi di capitalizzazione, nel 2013 ha registrato un fatturato di 1,258 miliardi di euro (+9%) un Ebitda di 260 milioni (+14%), un utile operativo di 219 milioni (+13%) e un utile netto di gruppo di 150 milioni (+43%), risultando meno esposta alla crisi dei consumi del vecchio continente visto che in Europa, Italia compresa sono realizzati poco più di 326 milioni di euro di fatturato (il 25,9% del totale), peraltro in crescita del 12,8% rispetto agli oltre 289 milioni del 2012, mentre in Asia (Giappone escluso) sono stati battuti scontrini per 466,5 milioni di euro (il 37,1% del giro d’affari complessivo), in crescita dell’11% rispetto all’anno precedente.
Quasi improponibile, poi, un confronto tra la “nana” Tod’s e il peso massimo del settore, Lvmh (forte di una capitalizzazione di circa 64,5 miliardi di euro), che pur continuando a risentire della delle misure di austerità in Cina (che hanno colpito in particolare il consumo di vini ed alcolici), ha visto il fatturato salire a 29,1 miliardi di euro nel 2013 (+4% rispetto al 2012) e dovrebbe superare i 31 miliardi a fine anno, registrando un lieve calo del margine netto (dal 20,6% al 20,4%) ma anche vedendo l’utile netto salire da 3,44 a 3,66 miliardi di euro. Come dire che utilizzando solo i profitti dell’ultimo anno Bernard Arnault potrebbe lanciare un’Opa su Tod’s a valori di un 15% superiori alle attuali quotazioni o che potrebbe offrire circa il 5% delle proprie azioni per mettere ugualmente le mani sul 100% del gruppo italiano.
Così sebbene visti i risultati infelici di Rcs Mediagroup John Elknann farebbe meglio a interrogarsi su come far tornare redditizio l’editore del Corriere della Sera, in fondo la battuta di qualche settimana fa in merito alle modeste dimensioni di Tod’s non sembra del tutto infondata. Ma questa non è certo una sorpresa per i miei lettori, visto che l’intero comparto della moda e del lusso italiano, pur presentando aziende eccellenti e marchi di sicuro successo, continua a finire al centro delle cronache finanziarie più per le operazioni di acquisizione che dall’estero vengono fatte su marchi del Bel Paese che non per il motivo opposto. L’unica speranza che il settore può avere è che investitori come Tamburi Investment Partners (Tip), che già hanno creduto (e guadagnato) in aziende come Moncler, continuino a fornire loro capitali coi quali procedere ad acquisizioni mirate, ad una maggiore crescita organica e al costante rinnovo della produzione, così da mantenere quel vantaggio strategico di cui possono godere su molti loro concorrenti.
Con una premessa: dovranno essere prodotti e servizi “di eccellenza” italiani in grado di essere facilmente apprezzati in tutto il mondo. Questo sembra essere il caso di Eataly e non sarà un caso se proprio Tip pochi giorni fa ha annunciato l’acquisizione (attraverso Clubitaly, società costituita appositamente per l’operazione di cui Tip detiene circa il 30%, mentre il resto è stato sottoscritto da altri investitori, principalmente family office soci storici di Tip) di una partecipazione pari al 20% della società fondata nel 2003 ad Alba da Oscar Farinetti e attiva nella distribuzione e commercializzazione a livello globale di prodotti d’eccellenza enogastronomica. Costo del “biglietto d’ingresso”: 120 milioni di euro, ossia più quanto Tod’s fattura in un anno in America (una novantina di milioni lo scorso anno, in crescita del 1,5% rispetto agli 81,6 milioni del 2012).
Se non si fosse capito l’unica speranza di crescita (e forse di salvezza) per Tod’s, Eataly o qualsiasi altra impresa italiana piccola, media o grande che sia, è rafforzare la propria presenza fuori dall’Italia e fuori dall’Europa. Trovando chi sia in grado di fornire, al posto delle banche tuttora impegnate in pulizie di bilanci e ristrutturazioni che si traducono in meno credito per imprese e famiglie, i capitali e le competenze necessarie a sbarcare su mercati come Cina, Giappone o Stati Uniti. Altrimenti prepariamoci a leggere di molti altri annunci come quelli che negli ultimi mesi hanno riguardato aziende storiche dalla Pernigotti a Loro Piana, da Ferretti ad Ansaldo.