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Opinioni

Telecom Italia, la morale della favola

Con un’operazione a più tempi che non passa per il mercato il controllo di Telecom Italia passa di fatto a Telefonica, ma il gruppo resta formalmente italiano. Grandi soci soddisfatti, piccoli investitori a bocca asciutta: tutto normale, siamo in Italia.
A cura di Luca Spoldi
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Il capitalismo italiano cambia lentamente, o almeno cambiano lentamente padrone alcuni dei suoi simboli come Alitalia, destinata a finire sotto Air France dopo che parte del mondo politico (in particolare Silvio Berlusconi e il Pdl) aveva fatto fuoco e fiamme per impedirlo anni fa, col solo risultato di scaricare i costi di inefficienze storiche sulle spalle dei contribuenti italiani e veder chiusa l’operazione anni dopo con modalità che sembrano prefigurare più l’ennesima svendita che una partnership per il “rilancio” della compagnia, o Telecom Italia, da tempo “promessa sposa” di Telefonica ma finora rimasta “italiana” per la presenza di investitori finanziari come Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo che ormai non sapevano più come dire di ritenere esaurito il proprio compito e di volersi sfilare quanto prima da un’avventura che definire infelice è un eufemismo.

Proprio Telecom Italia ha visto annunciata stamane una piccola-grande novità: dopo trattative che sono andate avanti tutta la notte tra i soci di Telco (holding creata nel 2007 che controlla il 22,4% dell’ex monopolista telefonico italiano e pertanto la controlla di fatto, senza mai aver dovuto lanciare un’Opa dato che la partecipazione è inferiore al 30%, soglia limite oltre la quale per rilevare i titoli di un’azienda quotata occorre lanciare un’offerta, allo stesso prezzo, a tutti i soci e non solo alcuni di essi) è stata raggiunta un’intesa che prevede che Telefonica (finora socia al 46,2% di Telco) sottoscriva in data odierna un aumento di capitale sociale di Telco (che prevede l’emissione di azioni di Classe C, prive del diritto di voto, convertibili successivamente in azioni di Classe B con diritto di voto), per complessivi euro 324 milioni, “da liberarsi mediante versamento in denaro, valorizzando la partecipazione in Telecom Italia posseduta da Telco ad euro 1,09 per azione”, circa il doppio del prezzo ufficiale della chiusura di borsa di ieri (59 centesimi per azione).

Dopo l’aumento il capitale di Telco risulterà così suddiviso: Generali 19,32% del capitale sociale (e però conserverà il 30,6% del capitale votante); Intesa Sanpaolo 7,34% (11,6% dei diritti di voto); Mediobanca 7,34% (11,6%); Telefonica 66% (46,2%). Contestualmente Telefonica acquisterà, al valore nominale, dai soci italiani (pro quota)una parte del prestito obbligazionario emesso da Telco, “cosicché la quota di tale prestito detenuta da Telefonica dopo la compravendita sarà pari al 70% del totale, ed il restante 30% sarà ripartito tra Generali (17%), Intesa Sanpaolo (6,5%) e Mediobanca (6,5%)”. Il corrispettivo in questo caso sarà costituito da azioni ordinarie di Telefonica (dalla stessa possedute), quotate alla Borsa di Madrid, valorizzate euro 10,86 ciascuna. Come hanno subito rilevato gli analisti l’operazione non passa per il mercato, tanto che in borsa stamane il titolo pur recuperando terreno resta ben distante dal prezzo pagato dagli spagnoli ai consoci italiani di Telco (prezzo peraltro nettamente inferiore ai 2,6 euro pagati nel 2007 da Telefonica, ma anche ai 2,2 euro che i titoli Telecom Italia costarono ai soci italiani, che poi procedettero a svalutarli) e oscilla tra i 60 e i 61 centesimi di euro per azione.

Non è finita qui: il gruppo spagnolo ha anche assunto l'impegno di sottoscrivere un ulteriore aumento di capitale sociale di Telco, da liberarsi mediante versamento in denaro, per un ammontare complessivo di euro 117 milioni ai medesimi termini e condizioni del primo aumento di capitale, così da salire al 70% della holding “senza alcuna modifica nei diritti di governance”. Inoltre dal 1° gennaio 2014 Telefonica “subordinatamente all’ottenimento di tutte le autorizzazioni regolamentari e antitrust (incluse quelle in Brasile e in Argentina)”, “avrà facoltà (ma non l'obbligo, ndr) di convertire, anche in più tranche fino al raggiungimento di una quota massima del 64,9% dei diritti di voto, le proprie azioni di Classe C, senza diritto di voto, in azioni di Classe B, con diritto di voto, al prezzo maggiore tra 1,1 euro e il prezzo di mercato delle azioni al momento dell’esercizio dell’opzione di acquisto”. In caso di esercizio della opzione Telefonica sarà obbligata ad acquistare, a valore nominale, anche tutte le quote residue del prestito obbligazionario emesso da Telco detenute dai soci italiani a fronte del pagamento di un corrispettivo composto per il 50% in contanti, e per il restante 50%, a scelta degli spagnoli, in contanti e/o in azioni di Telefonica, a termini uguali a quelli di cui sopra.

Ultimi ma non meno importanti dettagli: il patto parasociale di Telco resta in essere fino a febbraio 2015, così formalmente Telecom Italia resta italiana almeno sino a tale data, Telefonica si impegna a non comprare azioni Telecom Italia a meno che un soggetto ostile superi il 10%, ciascun socio di Telco mantiene la possibilità di vedersi attribuire le azioni di Telecom Italia, uscendo così dal patto parasociale, attraverso la scissione di Telco, che potrà essere richiesta durante una prima finestra tra il 15 ed il 30 giugno 2014 ed una seconda finestra tra il 1° ed 15 febbraio 2015. Tra le prime a commentare l’accordo è la stessa Generali, il cui Group Ceo, Mario Greco, in una nota fa sapere di essere soddisfatto “di aver concluso questo accordo che è in linea con i nostri obiettivi di rafforzamento patrimoniale e che ci permette di guardare con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente a fine anno”.

Nella stessa nota Generali precisa che la svalutazione netta della quota Telco “sarà di circa 65 milioni di euro e sarà registrata nel terzo trimestre del 2013” e che l’accordo, definendo “in modo chiaro i possibili periodi di uscita da Telco, il primo a giugno 2014; il secondo a febbraio 2015” riduce i rischi patrimoniali “derivanti dall’eventuale futura cessione a Telefonica” dei titoli rimanenti. Mediobanca, che aveva da poco svalutato a valori di mercato la partecipazione, dovrebbe invece registrare un capital gain di circa 60 milioni di euro nel primo trimestre 2013/2014 a livello di conto economico, oltre a una ripresa di valore a livello di stato patrimoniale di circa 100 milioni, notizia giudicata “ottima” dagli analisti che però ora vogliono vedere come il management di Piazzetta Cuccia utilizzerà le risorse.

(A)morale della favola: la “italianità” di Telecom Italia è formalmente salva anche perché non conviene a Telefonica procedere con una fusione visto che sarebbe costretta a vendere Tim Brasil e Telecom Argentina; le prospettive industriali dell’azienda, nonché del suo top management, restano un’incognita, a partire dal destino della rete fissa italiana (e dei relativi investimenti) e delle controllate sudamericane; la possibilità di dover ricorrere a un aumento di capitale tra i 3 e i 6 miliardi di euro per evitare il declassamento del rating sul debito a lungo termine a “junk” (cartaccia) rimane in piedi sia pure tra mille incertezze; i politici tirano un sospiro di sollievo; i presunti “cavalieri bianchi” o nuovi soci che dir si voglia restano alla finestra (certo potrebbero rilevare un 23%-25% di Telecom Italia sul mercato e sfilare l’azienda a Telefonica, ma è difficile lo facciano); i piccoli investitori (ma non solo loro: la famiglai Fossati, ex proprietaria della Star, ha in portafoglio poco meno del 5% di Telecom Italia pagato attorno a 2 euro per azione e già svalutato a 1,705 euro a titolo) imparano ancora una volta che la Borsa Italiana non è pensata per far guadagnare loro; i soci di controllo (tramite Telco) si danno pacche sulle spalle evitando di pensare troppo ai soldi bruciati in questi anni. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato: siamo in Italia, dopo tutto, anche se (molto lentamente) qualcosa sta cambiando.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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