Sono stati necessari 14 anni di trattative e cause legali, ma il 2 settembre, con la definitiva chiusura dei termini per aderire alla “offerta standard” del governo argentino, anche gli ultimi 50 mila investitori italiani che ebbero la malaugurata idea di investire i propri capitali negli allettanti titoli di stato argentini dovrebbero rivedere i propri capitali, con un “premio” del 50% che però spalmato sull’intero periodo di tempo trascorso significa un tasso annuo nominale del 2,74% (0,82% in termini reali).
Un rendimento ben diverso da quello prospettato a metà degli anni novanta dal governo di Buenos Aires che riuscì a collocare in tutto l’equivalente di 14 miliardi di euro attraverso un pool di nove istituti di credito italiani, ma pur sempre un risarcimento molto più cospicuo di quello offerto nel 2005 (e nuovamente nel 2010, quando la prima offerta venne sostanzialmente ripetuta) e consistente in uno swap (scambio) con nuovi titoli argentini avvenuto per il 90% dei titoli sottoscritti a circa un terzo del valore nominale e per il restante 10% alla pari.
I nuovi titoli così ottenuti avevano scadenze e pagamenti differenti: quelli con cambiati con vecchi titoli valutati al 33,7% del loro valore nominale scadranno nel 2033 e pagano un interesse lordo annuo del 7,82% lordo (che sarebbe equivalente a circa il 2,635% lordo annuo se fossero stati concambiati valutando i vecchi bond al 100%), i titoli con cambiati in base al 100% del valore nominale dei vecchi bond scadranno invece nel 2038 e pagano interessi crescenti tra il 2,26% e il 4,74% lordo annuo, con una media del rendimento lordo del 3,46%.
Chi ha resistito a queste due “irrinunciabili” offerte, ossia circa 40-45 mila risparmiatori (e i loro eredi, visto il tempo trascorso) per i quali è stato sottoscritto l’accordo tra la Casa Rosada e la Tfa, e aderirà entro venerdì 2 settembre all’ultima e stavolta davvero definitiva proposta che copre riguarda gli ultimi 900 milioni di euro di bond (per un controvalore complessivo di 1,35 miliardi di euro) dovrebbe dunque aver avuto ragione, visto che riceve ora più di quanto otterranno complessivamente gli aderenti alle due precedenti offerte (il cui rendimento medio ponderato complessivo è pari a circa il 2,7175%) e per di più non dovrà aspettare fino al 2033-2038 per rientrare in possesso di capitali e interessi.
Tutto bene quel che finisce bene? Non esattamente, visto che dopo i “Tango bond” sono seguiti negli anni altri casi di obbligazioni ad alto rischio rifilate al mercato retail, dai bond Giacomelli a quelli di Parmalet e Cirio, fino ad arrivare alle obbligazioni “junior” delle quattro banche risolte a dicembre e forse, se si riveleranno corrette le voci al riguardo, i bond subordinati di Mps che si punta a concambiare in titoli azionari, con tutto il rischio che questo potrebbe comportare.
Unica soddisfazione: i rendimenti dei titoli di stato e dei bond in genere sono in questo momento talmente depressi che aver guadagnato anche solo un 2,74% lordo annuo, sia pure su un titolo a questo punto divenuto più simile a un bond ventennale che a un decennale, non è stato in assoluto il peggior affare della vita essendo il rendimento corrente di un Btp con 20 anni di vita residua pari all’1,703% lordo annuo. Ma certo il costo in termini di rischio non è stato se non minimamente rimborsato, così l’unica vera nota positiva è che la vicenda, sia pure a tempi supplementari ampiamente scaduti, sia finalmente giunta alla fine.