Dice un antico detto che a morire e a pagare le tasse c’è sempre tempo. A quanto pare anche a tagliarle (le tasse), visto che nonostante ripetuti annunci anche quest’anno le tasse per gli italiani non caleranno affatto. Nei primi sei mesi dell’anno, anzitutto, come ha fatto sapere l’Agenzia delle Entrate, le entrate tributarie erariali (accertate in base al criterio della competenza giuridica) sono risultate pari a 194.364 milioni di euro. A guardare con la lente d’ingrandimento sembrerebbe di rilevare una lieve diminuzione rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, pari a 335 milioni di euro (-0,2% su base annua).
Ma nel primo semestre dello scorso anno il fisco italiano aveva incassato un extra gettito dovuto al versamento dell’imposta sostitutiva sulle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia rivalutate pochi mesi prima, per un totale di 1.692 milioni di euro, un gettito che era naturalmente previsto solo per il 2014 (dato che non vi sono state altre rivalutazioni delle quote che le banche commerciali italiane detengono in Via Nazionale). Così se si fa un raffronto senza tener conto di questa entrata straordinaria per quanto riguarda il 2014, le entrate tributarie erariali mostrano quest’anno crescita tendenziale dello +0,7%, essendo aumentate “ordinariamente” di altri 1.357 milioni di euro rispetto a dodici mesi prima.
Dite che il promesso taglio delle imposte arriverà con l’autunno? Liberi di sperarlo, ma al posto vostro non sarei troppo ottimista. In una intervista ad Affaritaliani il vice-ministro dell’Economia, Enrico Morando, ha messo le mani avanti precisando che “il piano di riduzione delle tasse” di cui ha parlato il premier Matteo Renzi “ha una strategia di medio-lungo periodo”, ci mancherebbe signora mai! Così ci si dovrà accontentare del fatto che a settembre “inizierà il lavoro per definire concretamente la prima tappa di questa strategia, che troverà la sua manifestazione nella Legge di Stabilità”. Se va bene, dunque, se ne parlerà il prossimo anno.
Ma cosa pensa il governo di ridurre? Il primo punto (purtroppo) riguarderà, ha ribadito Morando, “la tassazione sulla prima casa, Imu e Tasi, l’Imu sui terreni agricoli e una soluzione definitiva al problema dei cosiddetti macchinari imbullonati”. Solo al secondo punto verranno (ribadisco: purtroppo, perché in questo modo si privilegia chi ha un patrimonio immobiliare più che chi ha un’impresa o ha un reddito modesto) si proverà a mettere mano all’Ires “e un nuovo intervento sull’Irap”. E per l’Irpef? Se ne parlerà “nel 2018”, sempre che il governo sia ancora in carica, si potrebbe aggiungere ad essere maliziosi.
Secondo Morando, peraltro, proprio il respiro “pluriennale” della manovra, ossia il fatto “che le scelte fatte oggi varranno per il 2016 e quelle del 2016 per il 2017 e così via” darà credibilità al piano di riduzione della pressione fiscale. C’è però un “ma” grande come una casa: ma la pressione fiscale è espressa dal rapporto di due fattori, le entrate fiscali a numeratore e il Prodotto interno lordo a denominatore. Questo secondo termine non vuole saperne di crescere come hanno dimostrato gli ultimi dati resi noti.
L’Istat giusto ieri ha pubblicato quello relativo alla produzione industriale di giugno, che ha segnato un calo mensile dell’1,1% contro attese di mercato per una più contenuta flessione dello 0,3%. Il dato annuale, meno volatile (in giugno potrebbe aver pesato il “ponte” del 2 giugno, che quest’anno è caduto di martedì e sembra aver indotto le aziende a restare chiuse anche il lunedì), mostra comunque un calo dello 0,3% corretto per i giorni lavorati, mentre la media degli ultimi tre mesi registra un modestissimo +0,4%. Un dato, quest’ultimo, che ha già fatto discutere ampiamente gli analisti.
Secondo un report della banca d’affari francese Natixis (già segnalato e analizzato da Mario Seminerio), se non vi fossero stati due eventi favorevoli ma del tutto “esogeni” alle manovre varate dal governo italiano, come il crollo del prezzo dei prodotti petroliferi e dell’energia e il deprezzamento dell’euro, tra il primo trimestre 2014 e il primo trimestre 2015 l’Italia avrebbe visto il suo Pil calare dell’1,3% e non risalire dell’1,2% come è stato.
Insomma: il rischio che la ormai mitologica “riduzione della pressione fiscale” non veda tanto presto alcuna concreta realizzazione dipende sia dai ritardi della politica (peraltro vincolata al rispetto dei criteri del Fiscal Compact) sia dall’evanescenza di una crescita che dipende finora interamente da fattori esogeni e dalla crescita dei mercati esteri più che dalla produzione o dalla domanda domestica, che restano se non in crisi in stato di convalescenza. Riusciranno i nostri eroi a varare ciò nonostante una programmatica “e progressiva” riduzione della pressione fiscale? Le premesse non sono delle migliori, eppure dobbiamo sperare che in qualche modo, anche fortunoso, vi riescano.