Forse sono passate un po’ in sordina le parole di Conte sul Meccanismo Europeo di Stabilità – il Mes, come ci siamo abituati a chiamarlo in Italia – pronunciate la sera di domenica 18 ottobre durante la conferenza stampa sul nuovo Dpcm per fronteggiare l’emergenza Coronavirus in Italia. Sollecitato dalle domande dei giornalisti, il premier ha infatti spiegato che i soldi del Mes non sono “una panacea”, bensì “prestiti”. Che “non possono finanziare spese aggiuntive”, ma solo “coprire spese già fatte in cambio di un risparmio di interessi”. Che il risparmio in termini di tasso d’interesse è “irrisorio”, o quasi. Che avrebbe senso prendere quei soldi “solo se avremo un fabbisogno di cassa da coprire”. E che, al contrario, c’è uno stigma, un segnale negativo che si dà ai mercati, che “non è quantificabile”. Del resto, ha concluso Conte, al fondo europeo Sure per l’occupazione, anch’esso un prestito, hanno attinto ben dodici Paesi europei, Italia compresa. L’accesso alla linea di credito per la sanità offerta dal Mes, invece, non l’ha chiesto nessuno. “Un motivo ci sarà”, Conte non l’ha detto, ma è come se l’avesse fatto.
Ecco: dentro queste poche righe di risposta – che Conte è sembrato leggere dal podio, come se la domanda fosse stata concordata a tavolino – ci sono un bel po’ di questioni aperte, e un bel po’ di sottotesti che vale la pena esaminare. Partiamo da qua: del Meccanismo Europeo di Stabilità, e nello specifico questa linea di credito – fino al 2% del prodotto interno lordo per finanziare spese sanitarie, a un tasso d’interesse bassissimo, senza alcuna condizionalità – se ne parla solo in Italia. E, del resto, ben prima del Coronavirus, solo in Italia si è parlato per mesi della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità e della sua paventata trasformazione in una specie di Fondo Monetario Europeo, entità finanziaria sovranazionale destinata a essere l’unico erogatore di aiuti economici per Paesi dell’Unione in difficoltà.
Perché tale dibattito abbia assunto una tale rilevanza in Italia si spiega in due semplici punti. Il primo: l’Italia è la terza economia del Vecchio Continente dopo Germania e Francia, ma anche quella che cresce meno in tutta Europa e quella col debito pubblico più alto in assoluto, il terzo dopo Grecia e Spagna se lo rapportiamo al PIL. La seconda: l’Italia è l’unico Paese dell’Europa mediterranea che non è passato dalle forche caudine dei programmi di tagli e e austerità promossi dalla troika prima e dal Mes poi, e vive nel sacro terrore di essere spogliato della sua sovranità, e di fatto costretto a sforbiciare la propria spesa pubblica. È questo cocktail a generare dibattito su qualunque aiuto che arrivi dall’Unione Europea, capro espiatorio per eccellenza dei guai italiani, e più in generale rappresentazione massima di quelle forze globali che vogliono normalizzare la diversità italiana, per spogliarci delle nostre eccellenze e, in ultima istanza, dominarci.
Vero o falso che sia, questo porta il dibattito a vette di surrealismo che manco Dalì. Chi vorrebbe l’Italia libera dal giogo europeo – i Cinque Stelle, la Lega, Fratelli d’Italia – per poter finalmente fare tutto il debito e la spesa pubblica che vuole, oggi vorrebbe rifiutare 36 miliardi di euro da spendere in più, prestati a un tasso d’interesse bassissimo, senza alcuna condizionalità in cambio – come invece avviene per le altre linee di credito del Mes. Chi invece vorrebbe che l’Italia smettesse di prendere soldi in prestito e abbracciasse un percorso fatto di spending review e fine di ogni forma di assistenzialismo spinge invece affinché l’Italia accetti i soldi del Meccanismo Europeo di Stabilità, come se non aumentassero anch’essi il debito pubblico, e come se senza quei soldi perdessimo ogni possibilità di riformare e far crescere la nostra sanità pubblica.
Per quanto possa sembrare impossibile, hanno torto entrambi. Hanno torto quelli che non vogliono il Mes, perché non c’è nessun rischio di compromissione della nostra sovranità, e tutto sommato anche il rischio di dare un segnale di debolezza ai mercati è abbastanza contenuto. La debolezza della nostra economia e dei nostri conti pubblici, del resto, è già lì da vedere e ben certificata dalla valutazione che le attribuiscono quasi tutte le agenzie di rating del mondo: BBB-, un gradino sopra il livello junk bond che renderebbe il nostro debito pubblico non acquistabile dai fondi e dagli investitori istituzionali. In Europa, solo Romania e Cipro hanno un rating basso come il nostro. Persino la Grecia e la Spagna sono messi meglio di noi. Del resto, i mercati non hanno fatto un plissé nemmeno quando ieri sera Conte ha detto che attingeremo al Mes “se avremo problemi di liquidità”, come se il default dell’Italia appartenesse all’orizzonte del possibile. Altro che stigma, insomma.
Hanno torto pure quelli che vedono nella mancata richiesta di accedere a questa linea di credito una specie di peccato originale. Hanno torto perché su questo Conte ha ragione: oggi come oggi, i tassi d’interesse sono talmente bassi che il beneficio tra prendere i soldi in prestito dal Mes e reperirli sul mercato coi Btp sarebbe minimo. La violentissima recessione in atto e i massicci acquisti di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea fanno pensare che la differenza potrebbe ulteriormente assottigliarsi nei prossimi mesi. In altre parole, non stiamo parlando di un nuovo Piano Marshall che l’Italia autarchica e sciovinista sdegnosamente rifiuta, ma di una linea di credito solo un pochino più conveniente.
Hanno torto tutte e due, perché le motivazioni presentate sono entrambe pretestuose, ovviamente, e nascondono i reali motivi di chi è favorevole o contrario al Mes. Chi è favorevole spinge affinché il Mes si affermi come Fondo Monetario Europeo e si sostituisca alla Commissione Europea e alle sue valutazioni più politiche che tecniche. Chi è contrario, vuole soffocare in culla questo esperimento, perché conta sul fatto che l’Italia possa barcamenarsi meglio nell’attuale assetto europeo. Alla fine dei conti, è tutto qua.
Semmai, quel che nessuno chiede a Conte è altro. Ad esempio, se l’Italia ha o meno un piano di investimento nella sanità pari al 2% del Pil da finanziare, con risorse proprie o con i soldi del Mes poco importa. Glielo chiedesse, scoprirebbe che la risposta è no. Come giustamente ha osservato il professore Massimo Bordignon dell’Università Cattolica di Milano su Lavoce.info, “La Nadef 2020 stima in 5,4 miliardi di euro le risorse in più stanziate dal governo nel 2020 sulla sanità per affrontare la crisi epidemica; ma in assenza di altri interventi, queste diventano solo 1,2 miliardi in più nel 2021 (rispetto agli usuali 120 miliardi di spesa), curiosamente esattamente lo stesso incremento annuale nel finanziamento riconosciuto al Ssn dai governi in periodi precedenti la pandemia”. Non solo: “Le linee guida del governo sull’uso dei fondi NextGenerationEu – continua Bordignon – contengono una missione dedicata alla salute, ma si tratta solo di petizioni di principio, senza contenuti concreti, che ricalcano esattamente quanto già suggerito in campo sanitario dalle “raccomandazioni” della Commissione al paese”. In altre parole, non chiediamo i soldi al Mes perché non sapremmo come spenderli. E Mes o non Mes, il fallimento dell’Italia sta tutto qua.