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Opinioni

Sul lavoro Bce e Fed continuano a divergere

La banca centrale americana ha fissato esplicitamente l’obiettivo di una disoccupazione sotto il 6,5% come criterio per la sua poltiica monetaria, l’istituto europeo per ora si limita a lanciare allarmi…
A cura di Luca Spoldi
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Ben Bernanke, Mario Draghi

Punti di vista: alla Bce che, pur non essendo con Mario Draghi più così rigidamente monetarista come sotto la presidenza di Jean-Claude Trichet (cosa che non smette di irritare i tedeschi), si limita a lanciare l’allarme circa il rischio che nel 2013 ci sia ancora meno lavoro in Europa di quanto già non ce ne sia oggi (e intanto resta in attesa di acquistare sul mercato nuovi titoli di stato di paesi “a rischio” come Spagna e Italia), risponde Ben Bernanke, numero uno della Federal Reserve statunitense, che ieri per la prima volta ha esplicitamente legato l’andamento dei tassi d’interesse ufficiali (e di altre misure di politica monetaria tra cui una nuova operazione di riacquisto di emissioni obbligazionarie legate a mutui immobiliari “inizialmente al ritmo di 45 miliardi al mese” che sostituirà il prossimo anno l’operazione Twist, in scadenza a fine anno) all’andamento del mercato del lavoro, con l’intento di far ridiscendere il tasso di disoccupazione sotto il 6,5% (rispetto al 7,7% di fine novembre).

Merito di una differente concezione del ruolo delle banche centrali che è stata iscritta nel “Dna”, ossia nello statuto, delle due istituzioni: la Bce ha come mandato il mantenimento dell’inflazione sotto il 2%, retaggio delle paure germaniche della superinflazione la cui esplosione negli anni della repubblica di Weimar (1919-1933) preparò la strada al nazional-socialismo e agli orrori della seconda guerra mondiale. La Fed deve invece garantire la massima occupazione e, insieme, la stabilità dei prezzi, ma in periodi come l’attuale in cui si è in una situazione di sotto-impiego dei fattori produttivi rispetto al massimo potenziale che genera un “output gap” (definito dagli economisti come il differenziale tra il Prodotto interno lordo effettivo e quello potenziale) negativo, tale da causare, in assenza di interventi correttivi della banca centrale (o del governo attraverso la leva fiscale) un calo dei prezzi (disinflazione) e un contemporaneo aumento della disoccupazione, oltre che una frenata delle importazioni.

A fronte di questa differenza sostanziale tra il ruolo e gli obiettivi statutari di Fed e Bce, sul versante fiscale il vecchio continente è impegnato da oltre un anno in un programma di austerity che sta di suo già sacrificando la crescita dei paesi del Sud Europa per cercare, attraverso tagli alle spese, riforme e (specie in Italia) aumenti di imposte ricondurre sotto controllo la spesa pubblica e aumentare il grado di efficienza delle singole economie nazionali, con l’unica leva delle esportazioni come possibile sostegno alla crescita di breve periodo. Una ricetta che è fortemente ciclica, purtroppo, e farà peggiorare ancora a lungo il quadro prima che se ne possano, eventualmente, apprezzare i benefici (per la Spagna, ad esempio, gli analisti di Hsbc stimano oggi che possano essere necessari dai 18 ai 24 mesi prima che le riforme, pur ritenute “molte e molto giuste possano produrre effetti tangibili). Col rischio che a fronte di Pil in frenata i vari rapporti debito/Pil e deficit/Pil continuino a saltare per l’indebolimento del denominatore e inducano, se non si arriverà a una lettura “circostanziata” degli indicatori, a una successione di manovre correttive sempre più pericolose per l’economia del paese che le adotta.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, finora non hanno esitato a utilizzare poderosamente la leva fiscale per sostenere l’economia, specialmente dopo l’esplodere della crisi economico-finanziaria del 2008 (che portò al fallimento di Bear Stearns e Lehman Brothers e ai salvataggi a rotta di collo di AIG, di cui vi ho parlato in questi giorni, di Merrill Lynch e di molti altri gruppi finanziari “sistemici”). Un quadro destinato a mutare da qui a poche settimane, perché sia che si trovi un accordo sul budget (Obama ha fatto scendere la propria proposta da 1600 a 1400 miliardi di dollari di maggiori tasse in 10 anni, i repubblicani chiedono maggiori tagli alla spesa pubblica), sia che scatti il temuto “fiscal cliff” (600 miliardi di dollari tra aumenti delle tasse e tagli alla spesa automatici già a inizio 2013) è chiaro che il disavanzo pubblico deve iniziare ad essere aggredito, pena ulteriori tagli del rating sovrano statunitense e il rischio che la crisi del debito greco possa essere ricordata come un semplice “antipasto” della madre di tutte le crisi debitorie della storia.

Così, il quadro macroeconomico che si prospetta per il 2013 non sembra molto diverso da quello descritto dalle previsioni di un anno fa riferite al 2012: un primo semestre atteso in crescita debole per gli Usa (se il “fiscal cliff” non manderà l’economia in recessione) e in stagnazione in Europa (ma con i periferici del Sud Europa, Italia compresa, che soffriranno un’ulteriore estensione della recessione già in corso), nonostante banche centrali che continueranno “aggressivamente” quanto meno ad acquistare tempo per consentire alla politica di coagulare sufficiente consenso per varare riforme strutturali, qualitative, che portino non tanto a spendere meno quanto a spendere decisamente meglio e per attività in grado di generare maggiori ritorni. Alla fine, per chi deve cercare un lavoro, la sensazione resta quella che anche nel 2013 sarà meglio, se si è in grado, provare a fare un’esperienza all’estero che non a sperare di trovare un “posto” in Italia. Come già fatto, del resto, da 50 mila italiani nel corso di quest’anno, contro i soli 27 mila stranieri (entrambe le cifre si riferiscono al saldo netto tra arrivi e partenze) che sono arrivati in Italia a cercar fortuna.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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