Stop al gas russo, ipotesi stato d’allarme, pronte le garanzie statali agli operatori
Il prezzo del gas continua a salire, mentre le forniture dalla Russia continuano a scendere. In questo scenario il premier Mario Draghi, intervenendo ieri al Senato prima del prossimo Consiglio europeo, lo ha detto senza mezzi termini: "Il tetto al prezzo del gas è oggi ancora più urgente". Giorno dopo giorno i flussi da Gazprom all'Italia si fanno sempre meno consistenti e il rischio che si arrivi a uno stop definitivo, o quasi, c'è. Per questo si è riunito al ministero della Transizione ecologica il Comitato d'emergenza sul gas, con rappresentanti del ministero, di Arera, Snam e Terna.
Gli esperti per ora non hanno ritenuto necessario passare dallo stato attuale di pre-allarme a quello di allarme. La decisione finale spetta però al ministro della Transizione ecologica Cingolani, che vuole tenere sotto controllo la situazione e intervenire solo quando è estremamente necessario. Ora vedrà le società energetiche, Eni ed Enel in testa. Quindi, deciderà il da farsi. In campo ci sono diverse misure già annunciate: il maggior uso del carbone (ma senza riaprire centrali chiuse o costruirne di nuove), l'aumento della produzione di gas nazionale (agendo in via straordinaria anche sulle concessioni sospese), la spinta su energie rinnovabili ed efficienza energetica, oltre a tutta la partita degli accordi con altri Stati per maggiori forniture.
C'è poi l'opzione di prevedere garanzie pubbliche per l'acquisto di gas. Il governo vuole infatti riempire gli stoccaggi al 90% entro metà novembre, cioè accumulare 17 miliardi di metri cubi di gas. Ce ne mancano circa 7 e il ritmo è inferiore a quello previsto. Il problema è che gli operatori, più che non poter comprare metano, si ritrovano a doverlo fare a prezzi talmente alti da scoraggiare qualsiasi stoccaggio. Se lo pagano 145 euro per poi rivenderlo a 80 in inverno, chi copre le perdite? Da qui l'idea della garanzia statale. "Dobbiamo lavorarci – ha detto Cingolani- un anno fa 1 metro cubo di gas costava 20 centesimi, adesso costa 1 euro. Dobbiamo immagazzinare 10 miliardi di metri cubi, un anno fa ci volevano 2 miliardi di euro, ora ce ne vogliono 10.Siccome le linee di credito rimangono quelle, per gli operatori è un rischio sul cash flow, non sulla cassa. Bisognerà pensare a come dare più garanzie, ci stiamo lavorando. Però gli stoccaggi anche un po' più lentamente proseguono, siamo oltre il 54%". Rimane possibile quindi l'obiettivo del 90% entro il 31 dicembre 2022.
Il Mite potrebbe poi chiedere a Snam di ridurre le forniture alle aziende energivore, attivando i contratti di contenimento volontario della domanda da parte dei clienti. Non ci sarebbero comunque tetti alle forniture e ai consumi. Questi scatterebbero solo al livello superiore, quello di emergenza.
Intanto l'Istat certifica che il metano è la fonte di alimentazione più diffusa in Italia, sia per il riscaldamento (68%) che per la produzione di acqua calda (69,2%). Rispetto al 2013, però, si registra un leggero calo delle fonti tradizionali e non rinnovabili (metano, gasolio e gpl) a vantaggio di energia elettrica e biomasse. I sistemi a energia elettrica rappresentano l'8,5% per il riscaldamento e il 16% per l'acqua calda. Le biomasse alimentano il 15% dei riscaldamento e il 5,5% dell'acqua calda, mentre il solare ha un ruolo emergente, ma ancora residuale (1,4%).