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Opinioni

Startup: come ottenere i bonus fiscali

L’Agenzia delle Entrate segnala una “pioggia di bonus” in arrivo per le startup innovative. Ma ancora prima di chiedervi se riuscirete ad averle, cercate di capire quali caratteristiche la vostra impresa dovrà avere per aver successo (non solo in ambito fiscale)
A cura di Luca Spoldi
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Che l’Italia debba puntare sulla crescita per uscire fuori dalla spirale recessiva in cui la “cura tedesca” basata su continui inasprimenti fiscali rischia di mantenere l’economia italiana è ormai chiaro anche ai sassi. Come riuscire a far ripartire la crescita è il problema attorno a cui si arrovellano da mesi studiosi e politici, posto che i tassi sono ormai a livelli nulli se non negativi (sui depositi che le banche europee detengono presso la Bce) ma che per vedere una ripresa del credito ci vorrà, ben che vada, un anno (e che ad essere maggiormente premiati saranno paesi come Spagna, Francia e Germania dove la qualità del credito appare migliore e la domanda dello stesso in ripresa), che l’euro impedisce, per fortuna o per malasorta a seconda delle diverse scuole di pensiero, di sfruttare la politica monetaria per rilanciare esportazioni e investimenti attraverso una “svalutazione competitiva” come negli anni Settanta e Ottanta, che il 70% delle imprese italiane restano di piccole o medie dimensioni e dunque appare difficile avere un balzo delle spese in ricerca e sviluppo tale da generare significativi vantaggi competitivi a breve termine per le nostre aziende.

Eppure qualcosa si muove, se è vero come scrive l’Agenzia delle Entrate che per le “imprese innovative” è in arrivo un “pieno di bonus fiscali” che potrebbero risultare preziosi per dare un sostegno al fenomeno delle startup di cui sono da mesi pieni i titoli dei giornali che per ora ha prodotto più un’infinita serie di convegni, dibattiti e premi, più che risultati concreti in termini di fatturati, utili e assunzioni (la cosa non deve stupire visto che nelle fasi iniziali della vita di un’azienda si concentra la maggior parte dei fallimenti, in Italia come in tutto il mondo). Di cosa si tratta per la precisione e chi potrà beneficiare delle agevolazioni fiscali di cui sopra? Come precisa l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 16/E si tratta anzitutto di tre diverse tipologie di misure: detrazioni Irpef, deduzioni Ires e credito d’imposta.

La prima misura prevede una detrazione pari al 19% degli investimenti nelle start-up innovative anche in forma di società semplici, società equiparate a quelle di persone e imprese familiari. Agevolazioni ulteriori, con una detrazione che sale al 25%, sono previste per gli investimenti nelle start-up innovative a vocazione sociale e in quelle che sviluppano e commercializzano solo prodotti o servizi innovativi ad alto valore innovativo in ambito energetico. L’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (Ires) “possono beneficiare della deduzione del 20% degli investimenti nelle start up innovative”, deduzione che balza al 27% “per gli investimenti nelle start-up innovative a vocazione sociale e in quelle che sviluppano e commercializzano solo prodotti o servizi innovativi ad alto valore innovativo in ambito energetico”. Infine le start-up innovative e gli incubatori certificati che assumono a tempo indeterminato personale “altamente qualificato” (ossia in possesso di un dottorato di ricerca universitario o di una laurea magistrale tecnico-scientifica e impiegato in attività di ricerca e sviluppo) accedono “con modalità semplificate” e in regime “de minimis” al credito di imposta del 35% sui costi di assunzioni.

Le tre misure suddette prevedono ovviamente dei limiti: le detrazioni Irpef potranno riguardare al massimo 500mila euro per periodo d’imposta, cifra su cui calcolare la detrazione Irpef riguarda la somma investita nel capitale sociale di una o più start-up innovative. In sostanza chi investe in due o più start-up innovative dovrà calcolare il limite di 500mila euro sommando gli investimenti effettuati nelle diverse startup (investimenti da mantenere per almeno 2 anni pena la decadenza dal beneficio, con conseguente obbligo per il contribuente a restituire al fisco la somma detratta con relativi interessi legali). Per le deduzioni Ires il limite è pari a 1,8 milioni di euro  per periodo d’imposta ed anche in questo caso gli investimenti vanno mantenuti per almeno 2 anni (con conseguenze analoghe a quanto sopra in caso contrario). Infine il credito d’imposta è concesso sui costi d’assunzione per un massimo di 200mila euro, a condizione che i nuovi posti di lavoro siano conservati per almeno tre anni (ridotti a due nel caso di piccole e medie imprese).

Sempre la circolare dell’Agenzia delle Entrate precisa anche che la parte di reddito da lavoro che le start-up innovative e gli incubatori certificati corrispondono ad amministratori, lavoratori dipendenti e collaboratori continuativi sotto forma di azioni, quote e strumenti finanziari partecipativi non contribuisce alla formazione dell’imponibile, sia dal punto di vista fiscale che da quello contributivo. I collaboratori occasionali non possono però fruire di questo tipo di agevolazione, in quanto percettori di “redditi diversi”. Si noti che per poter usufruire di questa “manna fiscale” la startup deve essere “innovativa”, ossia far riferimento al Decreto Legge 179/2012, fortemente voluto dall’allora ministro dello Sviluppo Economico del governo Monto, Corrado Passera, decreto poi convertito con modificazioni nella legge 17 dicembre 2012 n.22, rispetto al quale a inizio anno (il 30 gennaio scorso ma pubblicato solo nella Gazzetta Ufficiale del 20 marzo 2014 n.66) è stato emanato il “decreto attuativo” necessario all’applicazione concreta della norma, decreto a cui fa riferimento l’Agenzia delle Entrate.

Proprio su questo testo si sono appuntate le maggiori critiche alla nuova norma, a causa di limiti che paiono snaturare il concetto di startup “innovativa”. Si è infatti previsto che non possano beneficiare delle agevolazioni i soggetti che alla data dell’investimento, effettuato direttamente o indirettamente tramite una società di capitali, possiedano oltre il 30% della startup medesima, situazione non rara che richiederà una distribuzione “col bilancino” delle quote tra founder ed eventuali soci finanziatori. Il rischio è che chi non riuscirà a trovare un numero abbastanza elevato di co-founder e/o finanziatori debba rinunciare ai benefici fiscali. Inoltre per essere definita “innovativa” le startup devono avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico” (e neppure in tutti i settori, visto che sono escluse esplicitamente dai benefici quelle startup operanti nei settori della costruzione navale e nel settore del carbone e delll’acciaio, per quanto innovative possano essere).

Oltre a questo le società in questione devono possedere una serie di requisiti sostanziali, ad esempio (oltre a dover avere sede principale dei propri affari ed interessi in Italia) devono essere costituite e svolgere attività d’impresa da non più di 48 mesi, mentre il totale del valore della produzione annua della società, a partire dal secondo anno, non deve essere superiore a 5 milioni di euro, inoltre non devono distribuire o aver distribuito utili. In più occorrerà che le startup abbiano sostenuto spese in ricerca e sviluppo in misura pari o superiori al 15% del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione, e/o impieghino (come dipendenti o collaboratori, a qualsiasi titolo) in proporzione non inferiore a un terzo della propria forza lavoro, personale “altamente qualificato”, oppure siano titolari o depositarie o licenziatarie di almeno una privativa industriale relativa ad una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o ad una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all’oggetto sociale ed all’attività d’impresa.

Tutto ciò considerato, mi pare di poter dire che se volete costituire una startup e aspirate ad essere “innovativi”, vi convenga pensare soprattutto al prodotto o servizio che vi accingete a sviluppare e al business model che prevedete di adottare; che sarebbe meglio pensaste a come creare un team di founder coeso e con competenze complementari e sufficientemente robuste; che sarebbe opportuno, una volta individuati i vostri punti di forza e le caratteristiche che vi rendono unici rispetto ai vostri concorrenti attuali e potenziali, che riusciate a coinvolgere incubatori e venture capitalist come Vertis Sgr o Digital Magics solo per citare due nomi sulla cui serietà mi sento di garantire di persona avendo visto come lavorano e conosciuto le persone coinvolte. Se poi sarete “eligibili” anche per qualche beneficio fiscale tanto meglio, ma non pensiate che la differenza tra il successo e l’insuccesso possa essere fatta da tali benefici, non almeno se siete voi gli imprenditori (e probabilmente neppure se siete dei soci finanziatori).

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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