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Slitta il rialzo dei tassi Usa, la Bce distribuisce 100 miliardi alle banche Ue

La Federal Reserve americana rinvia a fine anno ogni eventuale rialzo dei tassi sul dollaro, mentre la Bce eroga quasi 100 miliardi di euro alle banche europee (ma raziona i fondi a quelle greche): i mercati finanziari sono sempre più dipendenti dalle decisioni delle banche centrali, mentre l’economia rele…
A cura di Luca Spoldi
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Sono sempre più le banche centrali a far muovere i mercati finanziari, con la Federal Reserve che ieri ha fatto capire che le probabilità di un primo rialzo dei tassi ufficiali sul dollaro (al momento attorno a zero e finora attesi allo 0,25% entro giugno) prima della fine dell’anno sono ormai inferiori al 50%, dato che il crollo dell’euro, sceso di un 30% abbondante contro il biglietto verde rispetto ai livelli della scorsa estate forniscono già, assieme all’ulteriore calo dei prezzi del petrolio (in questo caso legati a un motivo “politico”, il possibile ritorno sul mercato della produzione iraniana in caso di un possibile accordo Usa-Iran sul nucleare), una sufficiente spinta deflazionistica per prevedere che l’inflazione, attualmente attorno all’1,5% annuo, non debba avvicinarsi alla barriera del 2% molto presto né tanto meno superarla con eccessiva facilità nonostante segnali di costante rafforzamento del mercato del lavoro a stelle e strisce.

Dal canto suo la Bce ha sorpreso gli investitori comunicando oggi l’esito, superiore alle attese, della terza Tltro (Targeted longer-term refinancing operations, ossia operazioni di rifinanziamento a lungo termine condizionate), che ha assegnato 97,848 miliardi di euro di liquidità a lungo termine al tasso dello 0,05% (lo 0,1% di spread rispetto al tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale applicato nelle prime due Tltro dello scorso anno era stato infatti rimosso lo scorso 22 gennaio dal board della Bce). L’ammontare complessivo è risultato ampiamente superiore ai 40-50 miliardi di euro previsti dalla maggioranza degli analisti e sarà interessante vedere se nel corso dell’anno (sono previste altre tre aste Tltro con regolamento il 24 giugno, il 30 settembre e il 16 dicembre prossimi) la domanda di credito si manterrà più elevata delle attese, segnale che potrebbe indicare un effettivo rafforzamento di una ripresa finora evanescente specie nel Sud Europa.

Dei fondi così erogati dalla Bce (che dovranno essere rimborsati entro il 26 settembre 2018, anche se sarà possibile iniziare a farlo gradualmente già a partire dal 29 marzo 2017), alle banche italiane dovrebbero essere andati circa 32 miliardi, di cui 7,9 miliardi di euro sottoscritti dal solo gruppo Unicredit che in una nota ha precisato di averne richiesti e ottenuti 7,4 miliardi di euro per l’Italia e 500 milioni di euro per l’Austria, mentre Intesa Sanpaolo ha a sua volta fatto sapere di aver ottenuto 10 miliardi. Più contenuti gli importi richiesti dagli altri istituti: Mediobanca e il Banco Popolare hanno chiesto e ottenuto 5 miliardi ha a testa, Ubi Banca 3 miliardi, Bpm 250 milioni, mentre Mps, che aveva fatto sapere di avere sufficiente liquidità, ha preferito saltare un giro.

Se Eurotower è stata generosa con 134 tra le maggiori banche europee, lo stesso non si può dire abbia fatto nei confronti della Grecia. Per quanto il board abbia autorizzato di innalzare di altri 400 milioni il plafond dei fondi Ela (Emergency Liquidity Assistance) che la banca centrale di Atene è autorizzata a erogare alle banche elleniche che ne facciano richiesta, portando il totale a 69,8 miliardi, di fatto sarebbe stato erogato meno della metà della somma chiesta da Atene. L’agenzia Bloomberg citando fonti interne alla Bce ha infatti ipotizzato, senza ricevere smentite, che Atene avesse chiesto 900 milioni di nuovi fondi, anche perché già venerdì dovranno essere rimborsati bond per 2 miliardi di euro, mentre a fine mese andranno pagate pensioni e stipendi.

Al riguardo va segnalata la voce secondo cui Angela Merkel, da cui Alexis Tsipras è nuovamente volato per cercare di trovare un accordo che superi le tensioni emerse negli ultimi giorni, avrebbe suggerito al governo greco di congelare i pagamenti di pensioni e stipendi per un paio di mesi, così da poter prima raggiungere un accordo con la “troika” sul rimborso dei prestiti finora ricevuti e poi poter sbloccare i propri pagamenti. Prova che i timori già espressi da esperti autorevoli come il neo responsabile rischi e stabilità finanziaria della Bank of England, Alex Brazier, circa l'impossibilità in nessuno scenario “realistico” che la Grecia sia in grado di rimborsare gli attuali livelli di indebitamento, hanno colpito nel segno (senza peraltro indurre ancora un cambio di strategia a Berlino).

La situazione resta dunque a dir poco ingarbugliata: da una parte con le continue iniezioni di liquidità e gli acquisti di titoli di stato sul mercato Mario Draghi sta lavorando per consentire alle banche (italiane e spagnole, principalmente) di controbilanciare con profitti da intermediazione (cedendo alla Bce bond che si sono apprezzati dal momento in cui erano stati inseriti nei portafogli delle banche) o da “carry trade” (sfruttando il differenziale tra i tassi vicino a zero pagati sui prestiti Bce e gli interessi ottenuti investendo tali capitali in titoli di stato) ulteriori svalutazioni degli asset deteriorati, dall'altro la redditività delle banche, specie in Italia, resta strutturalmente bassa a causa della crisi di domanda che la “cura tedesca” contribuisce a esacerbare.

Il tutto mentre in Italia si cerca di spianare il terreno per il definitivo “alleggerimento” delle zavorre rappresentate dai 185,5 miliardi di sofferenze lorde esistenti nei portafogli della banche a fine gennaio (il massimo degli ultimi 19 anni secondo i dati Abi), cui corrispondono 81,3 miliardi di sofferenze nette, ossia di reale esposizione al rischio di perdita su crediti. Tali sofferenze dovrebbero secondo logica finire sul mercato ed in effetti alcuni istituti (principalmente Unicredit e Intesa Sanpaolo, ma anche, più limitatamente, banche come Mps o Credito Valtellinese) si sono da tempo mossi in tal senso, non senza incontrare difficoltà.

In piedi resta tuttavia anche l’ipotesi di una “bad bank” sistemica, che però visto anche i rischi di ulteriori problematiche emerse tanto in Austria quanto in Spagna (è di ieri la richiesta di fallimento arrivata dal banco de Madrid, controllata della Banca Privada d’Andorra) potrebbe tradursi non tanto in una istituzione pubblica incaricata di gestire “in massa” i crediti deteriorati conferiti dalle banche, quanto di una serie di norme per agevolarne la gestione “per tipologia” da parte degli istituti medesimi o di un soggetto misto, pubblico-privato. Nell’attesa di trovare la quadratura del cerchio i mercati finanziari continuano a correre, l’economia reale continua ad arrancare.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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