video suggerito
video suggerito
Opinioni

Si parla di Mps per non parlare dei problemi reali?

La vicenda dell’istituto senese finisce inevitabilmente al centro del dibattito politico. Ma come per il dibattito sull’F-35 non è detto che serva a risolvere un problema, quanto ad occultarne altri più spinosi…
A cura di Luca Spoldi
12 CONDIVISIONI

Montepaschi

Giuseppe Mussari come presidente di Mps avrebbe guadagnato tra il 2006 e il 2011 poco meno di 4,4 milioni di euro, avendo un compenso di base di poco superiore ai 700 mila euro ed avendo rinunciato a bonus e buonuscita, secondo i calcoli ufficiosi che circolano in queste ore su social network e media italiani. L’allora direttore generale dell’istituto, Antonio Vigni, sempre secondo calcoli ufficiosi, potrebbe essersi portato a casa tra fisso (1,4 milioni di euro l’anno), bonus e buonuscita (contrattata con l’istituto e pari a 4 milioni di euro secondo quanto riportato dalla stampa italiana) sarebbe riuscito a totalizzare circa 13,35 milioni di euro. Sono queste le “cifre dello scandalo” cui guardano con crescente morbosa attenzione vecchi e nuovi media italiani, nel pieno di una campagna elettorale pronta a sfruttare ogni scusa anche in campo economico per far guadagnare o perdere voti a questo o quel partito.

Serve all’Italia sapere quanto guadagnano i suoi banchieri ed ex banchieri? Serve nella misura in cui dia testimonianza di un sistema che premia correttamente chi opera bene e sa punire chi distrugge valore, ma che non sia così è evidente anche senza armarsi di calcolatrice e rifare ogni volta la conta di quanto guadagnano i “mammasantissima” dell’economia e della politica italiana. Siamo del resto un paese dove per decenni il settore creditizio è rimasto una “foresta pietrificata” saldamente controllata dalla politica, in cui ai vertici di qualsiasi istituto (che si chiamasse Mps, Bnl, Sanpaolo, Credito Italiano, Comit, Banca di Roma o Banco di Napoli non faceva differenza, per non dire delle centinaia di piccole realtà del credito rurale, cooperativo o popolare) si sono scelti per la tessera che avevano in tasca prima e più che per le capacità di far bene il proprio mestiere (se poi c’era anche questa capacità, e in alcuni casi c’è stata, tanto meglio).

Come serve sicuramente sapere che l’F-35, o JSF, è un aereo militare molto complesso, molto costoso, che ancora dà problemi. Ma di cui, esaminate razionalmente le alternative disponibili, non si può fare facilmente a meno, sia per l’importanza che ha questo strumento nell’ottica di una moderna politica militare (che vede da decenni anche l’Italia sempre più impegnata in “missioni di pace” all’estero, dall’Afghanistan alla Libia, missioni o guerre che dir si voglia cui è difficile politicamente ed economicamente sottrarsi, con buona pace delle anime belle che sognano un mondo senza guerra che tutti ci auguriamo ma che ancora ha da venire), sia per le ricadute in termini industriali e di know-how che il progetto comporta, come ha magistralmente spiegato Andrea Gilli, facendo notare come alla fin della fiera il programma F-35, destinato a sostituire Tornado e Harrier italiani e a restare in linea per un trentennio, dovrebbe costare allo stato sui 10 miliardi di euro (e anche ammettendo costi il doppio o persino il triplo resterà pur sempre una goccia a fronte di una spesa pubblica che viaggia sui 750 miliardi di euro l’anno).

Alla fine viene il sospetto che casi come quello di Mps (che rischia di non essere l’unico e il solo e forse per questo si sta invece cercando di dipingerlo come “anomalia” di un sistema che si vorrebbe sano ma che tanto sano non sembra ancora essere) o le polemiche sull’F-35, servano a distogliere lo sguardo da un unico punto fondamentale. Che la cura individuata dalla Germania e che tutti i paesi della sponda Sud dell’Europa hanno dovuto subire senza alcuna concreta alternativa, essendo l’uscita “in solitaria” e disordinata dall’euro equivalente a un suicidio collettivo, è letale non solo per i danni che produce ai PIIGS, ma anche perché esalta anziché ridurre le differenze tra i vari paesi dell’Eurozona e dunque dovrà essere cambiata quanto prima se non si vuole che la situazione sfugga definitivamente di mano agli “apprendisti stregoni” europei.

Volete una prova? Guardate i dati macroeconomici odierni riferiti ai vari paesi dell’Eurozona: mentre in Spagna a fine anno si sono toccati i 6 milioni di disoccupati pari al 26,01% della forza lavoro, il massimo dal lontano 1976 (con la disoccupazione giovanile a livelli drammatici: 59,8%), in Germania a gennaio e l’indice Pmi dei direttori acquisti del comparto manifatturiero è risalito a 48,8 punti, il massimo degli ultimi 11 mesi e leggermente sopra le attese di consensus degli analisti (46,8 punti)  e quello dei servizi a 55,3 punti, massimo degli ultimi 19 mesi (consensus: 52 punti). Tra i due estremi si trova la Francia, dove sempre l’indice Pmi  manifatturiero è calato a 42,9 punti, il minimo degli ultimi 4 mesi (e quello del settore servizi a 43,6 punti, il minimo degli ultimi 46 mesi), contro un consensus di 45,1 punti (45,6 punti per il settore dei servizi). E’ l’ennesimo esempio che la cura così erogata non funziona e che da un’Europa intergovernativa, rigida e burocratica occorre passare quanto prima ad un’Europa integrata economicamente e politicamente, non solo monetariamente. Il problema è che il processo non sarà né facile né rapido, per questo aspettiamoci ancora molte campagne elettorali avvelenate dove la curiosità becera e il populismo la faranno da padrona rispetto all’elencazione dei problemi e delle soluzioni alternative che ci sono date per superarli.

12 CONDIVISIONI
Immagine
Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views