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Opinioni

Settore auto: chi pagherà i costi dello scandalo emissioni?

Lo scandalo emissioni porterà a rivedere le norme sui test anti inquinamento. E mentre in teoria questo andrebbe a vantaggio dei consumatori, in pratica per il Credit Suisse potrebbe modificare la convenienza economica di possedere un’autovettura a motore diesel…
A cura di Luca Spoldi
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I dati del Prodotto interno lordo americano riferito al secondo trimestre dell’anno sono rivisti al rialzo dal Bureau of Economic Analysis: +3,9% annualizzato contro il +3,7% della stima di agosto. Il merito va in particolare ad una maggiore spesa per consumi (rivista al rialzo al +3,6% dal precedente +3,1% indicato ad agosto) che appare sostenuta dal calo dei prezzi del carburanti e da più elevati prezzi degli immobili. Se fino a qualche giorno fa la notizia sarebbe stata accolta con qualche timore da parte dei mercati, che l’avrebbero letta come un indicatore del sempre più probabile aumento dei tassi ufficiali sul dollaro, oggi la reazione è stata positiva, dopo che ieri sera il presidente della Federal Reserve (la banca centrale americana) aveva già dichiarato di ritenere tuttora probabile un primo rialzo dei tassi ufficiali entro l’anno.

Il rimbalzo in Europa ha coinvolto un po’ tutti i settori, compreso l’auto (meno, tanto per cambiare, Volkswagen, che ha chiuso in calo del 4,32% ridiscendendo a 107,3 euro per azione, appena sopra i minimi degli ultimi quattro anni, 106 euro, toccati martedì scorso) e questo ha sorpreso più di un operatore, che parla di “rimbalzo anomalo”. Ma quali conseguenze pratiche potrebbe avere lo “scandalo emissioni” esploso con fragore in settimana e che sembra destinato a espandersi oltre il caso di un singolo, sia pure importante, produttore come Volkswagen? In un report dedicato al settore gli analisti di Credit Suisse partono dalla considerazione che il sistema di controlli adottato dai regolatori della Ue ha fallito, non essendo mai stato in grado di scoprire l’imbroglio.

Per questo ci si attende, comunque vada a finire la vicenda, “cambiamenti radicali”. In particolare, “il sistema inefficace di test per le emissioni di ossidi di azoto (NOx) dovrà ora essere rettificato, utilizzando condizioni del mondo reale” e non di laboratorio come fatto finora. E questo, verrebbe da dire, sarà un bene per i consumatori che non si troveranno più ad acquistare un’autovettura di cui il produttore pubblicizza mirabolanti doti di basso consumo e basse emissioni che non riusciranno mai ad essere raggiunte da un automobilista reale. Tuttavia, aggiungono gli esperti “questo potrebbe significare la Ue dovrà anche ripensare gli obiettivi di anidride carbonica (CO2), dato che in condizioni reali lo scambio ossidi di azoto/anidride carbonica appare impraticabile”.

Mentre il risultato finale è chiaro (si va verso norme più severe), gli analisti si attendo che la maggior parte della “stretta” delle autorità si concentrerà proprio sui test sui livelli di NOx. Questo vuol dire che per i diesel si preparano anni difficili: l’argomentazione che tali motori potessero essere contemporaneamente efficienti in termini di consumo di carburanti e puliti ha subito un serio danno dallo scandalo e mentre i livelli di ossidi di azoto “possono essere ridotti aumentando i componenti di post-trattamento” (presenti nelle marmitte catalittiche), “questo potrebbe ridurre di un 20% l’efficienza in termini di consumo se i limiti Euro 6 fossero applicati in condizioni reali”.

A quel punto la convenienza economica nell’acquistare un’auto diesel diminuirebbe significativamente, anzi gli esperti stimano che il confronto in termini di costi complessivi del possesso passerebbe da un 4% a favore dei diesel ad un 6% di svantaggio. L’unica leva che resterebbe alle case produttrici sarebbe quella del prezzo, con incrementi di prezzo per le auto a benzina superiori a quelle per i diesel (o con sconti per questi ultimi a parità di prezzi per le motorizzazioni a benzina). In entrambi i casi ciò renderebbe meno conveniente per i produttori vendere auto diesel e penalizzerebbe, ceteris paribus, chi oggi maggiormente conta su tali motorizzazioni nel suo mix di vendita (i produttori tedeschi e francesi molto più di Fiat Chrysler Automobiles).

Inevitabile pensare che a quel punto interverrebbe la politica ed è infatti la conclusione a cui pervengono gli esperti di Credit Suisse. Data l’ampiezza dello scandalo e dei potenziali effetti negativi da questo prodotto, concludono gli analisti, “il futuro del settore sarà nelle mani della politica” che dovrà “valutare l’impatto sulla salute pubblica col futuro del settore”. Le violazioni ammesse da Volkswagen mettono del resto “l’intero settore in una posizione contrattuale debole. Anche se non ci aspettiamo che i governi impongano un taglio dei profitti del 30% (come si avrebbe, stimano gli analisti, se si rendesse più stringente la regolamentazione sugli ossidi di azoto mantenendo quella sui livelli di CO2 in linea con la normativa Euro 6), gli utili subiranno probabilmente un impatto materiale”. Domandina conclusiva: chi pagherà questo “impatto”, le case produttrici o i consumatori? A pensar male si fa peccato, ma a volte ci si becca.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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