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Settimana al cardiopalma sui mercati, che tifano Monti

Settimana al cardiopalma sui mercati finanziari, con tassi e spread che toccano nuovi record prima di calare in vista di un cambio di guardia a Palazzo Chigi. Cosa ci aspetta ora.
A cura di Luca Spoldi
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Mario Monti

Che settimana! Avevo previsto che ci sarebbero stati fuochi d’artificio sui mercati, ma non pensavo fino a questo punto e siccome lunedì mattina il Tesoro italiano dovrà collocare da 1,5 a 3 miliardi di euro del Btp settembre 2016, dopo che in settimana sono stati collocati 5 miliardi di Bot a 12 mesi con rendimenti schizzati al 6,087% dal 3,57%, massimo dal settembre 1997 (anche se sul “grey market” ossia il mercato non ufficiale, poche ore prima dell’emissione il futuro titolo viaggiava a prezzi equivalenti a un tasso del 7% circa) potrebbe non essere finita qui.

Molto, se non proprio tutto, dipenderà dall’esito del tentativo di rimuovere rapidamente quante più “facce” dell’attuale nomenclatura politica per far spazio a un governo “di transizione” che guidato da personalità autorevoli ma anche in grado di trovare un appoggio sufficientemente ampio in Parlamento tanto tra le forze dell’ex maggioranza quanto dell’opposizione vari le misure necessarie a rispettare i parametri concordati con l’Europa. Parametri che anche coi tassi “solo” al 6,45% sui titoli decennali (pari ad uno spread coi Bund del 4,56%) richiederebbero, per essere centrati il prossimo anno, un avanzo di bilancio del 6% (contro il 3,7% previsto dalla manovra varata lo scorso agosto e poi continuamente modificata), stante un rapporto debito/Pil del 120% e purché la crescita del Pil l’anno venturo sia pari al 2,5%.

Quest’ultimo punto è chiaramente impossibile da raggiungere, tanto più che la manovra correttiva più sarà “pesante” meno consentirà all’economia di crescere, salvo che non si varino riforme strutturali a favore di una maggiore competitività del sistema Italia, cosa che richiede appunto una larga convergenza delle forze politiche (quelle stesse che in 15 anni non sono state in grado, indipendentemente dal “colore” del governo di turno, di vararle e far ripartire la crescita).

Tra i commentatori internazionali c’è che si dimostra fortemente scettico sulle speranze che i governi “di transizione” che sembra vadano formarsi in Grecia e in Italia riescano nell’intento e chi suggerisce invece che se guidati da personalità autorevoli (come l’economista neo senatore a vita ed ex commissario Ue Mario Monti) e composti da un mix di tecnici capaci e di rappresentanti dei maggiori partiti politici forse si avrebbe un recupero di fiducia sui mercati sufficiente a far varare manovre importanti ma meno drastiche, in grado così di non schiantare completamente l’economia. Ma quanta fiducia andrebbe recuperata?

Poniamo che la manovra che emergerà alla fine possa produrre un avanzo attorno al 5% del Pil (per cui sarebbe necessaria una correzione non di 70 miliardi di euro come quella che si approva in queste ore in Parlamento, ma di 90-95 miliardi nel triennio 2012-2014), magari con misure come lo stop alle “baby pensioni”, l’accelerazione del percorso per equiparare le pensioni di vecchiaia delle donne nel pubblico impiego a 65 anni, l’eliminazione delle “pensioni d’oro” e dei benefici più clamorosi della casta politica italiana, assieme all’introduzione di una tassa sui patrimoni più abbienti, o finanche un prelievo “forzoso” su depositi o attività finanziarie come capitò nel 1992 col governo Amato (una misura relativamente lieve come entità, il 6 per mille, che però ancora oggi turba i sogni di molti contribuenti italiani).  Possibilmente con un contorno di misure tali da consentire una dismissione di beni del patrimonio dello stato non più indispensabili come caserme, depositi e uffici, piuttosto che una più efficace lotta all’evasione (condotta però su situazioni in essere e non pregresse per non perdere inutilmente tempo rischiando di far girare a  vuoto l’Agenzia delle Entrate per produrre migliaia di atti destinati a finire prescritti prima di qualsiasi sentenza).

A quel punto se ha ragione il commissario Ue Olli Rehn che prevede per il 2012 una crescita dello 0,1% (contro stime di Prometeia che parlano dello 0,3%) seguita da un modesto recupero nel 2013 (Pil previsto a +0,7%), occorrerebbe vedere i tassi sui titoli di stato decennali ridiscendere al 4,3%, ossia circa 215 punti base meno dei livelli attuali. Una sfida difficile, visto che i tassi sono rimasti sopra il 4,5% per tutto il 2010. Servirebbe dunque una crescita fosse almeno pari allo 0,3% indicato da Prometeia, sperando che nel frattempo il rapporto debito/pil scivoli di almeno un punto percentuale al 119% dal 120% attuale e che i tassi si riavvicinino al 4,5%, pur sempre quasi due punti sotto il livello attuale, ma su un livello attorno a cui oscillavano ancora sei mesi or sono (quando alla Bce sedeva Jean-Claude Trichet che “incautamente” ha preferito alzare di mezzo punto il costo del denaro in Eurolandia temendo un inasprimento dell’inflazione, mentre il primo atto del nuovo presidente di Eurotower, Mario Draghi, è stato quello di ridurre i tassi di un quarto di punto, mossa che potrebbe essere bissata entro fine anno o a inizio 2012).

Alla fine se vogliamo fare un gioco, le cose stanno più o meno così: l’effetto negativo derivante dall’inazione del governo italiano dal 26 ottobre a questa settimana ha prodotto un incremento di circa 120-130 punti base dei tassi pagati sul decennale italiano; le speranze del varo di un nuovo e autorevole “governo di transizione” ha prodotto un primo calo di 80 punti base e deve ora tradursi in un’azione efficiente del prossimo esecutivo che consenta un ulteriore recupero pari a circa 190-200 punti base. Nel frattempo si può sperare che ai 50 punti base di tagli della Bce si sommino un rientro della cinquantina di punti base di incremento dei tassi legati alla pessima gestione da parte di Francia e Germania di tutta la vicenda legata agli stress test “a sorpresa” svolti sulle banche europee in settembre e che hanno portato a evidenziare una necessità di capitali guarda caso proporzionalmente maggiore per le banche italiane che non quelle tedesche o francesi non a causa di un maggio rischio “intrinseco” degli istituti italiani ma per via di come si è deciso di valutare il rischio stesso.

Alla fine l’eventuale governo Monti dovrebbe recuperare forse poco più dei punti persi a causa dell’insipienza mostrata negli ultimi suoi giorni dal governo Berlusconi. Una missione difficile ma non impossibile, a patto che si raggiunga un intesa tra tutte le parti coinvolti e non prevalgano i particolarismi o la voglia di vendetta di ciascuno. E che nella manovra al corposo aumento delle entrate si aggiunga (o meglio ancora sostituisca in parte) un robusto per quanto oculato taglio alle troppe spese inutili. Anche perché già ora la manovra appare destinata ad alzare al 44,5% il peso complessivo del fisco italiano su coloro che pagano le tasse: andare ancora in direzione di ulteriori incrementi del prelievo fiscale farebbe giungere al paradosso che la metà o più di quanto guadagnato servirebbe solo a pagare il fisco italiano. Il che suonerebbe ancora più di quanto non appaia già un incentivo fortissimo a evadere, più che a comportarsi "virtuosamente" nei rapporti con l'erario.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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