Se Volkswagen piange, per l’allargarsi dello scandalo emissioni anche alle motorizzazioni a benzina e al marchio di lusso Porsche (controllante di Volkswagen col 31,5% di capitale), Fiat Chrysler Automobiles non ride. Certo, i dati di immatricolazioni quest’anno sono finora risultati più che soddisfacenti e nell'immediato i guai del concorrente tedesco potrebbero procurare qualche cliente in più, ma già si scorgono nuove nubi all’orizzonte di quel “polo del lusso” che dopo lo scorporo di Ferrari, da poco sbarcata a Wall Street e destinata a tornare un’entità separata da Fca entro i primi mesi del prossimo anno (quando l’80% attualmente in portafoglio al gruppo italo-americano verrà girato ai soci, pur rimanendo saldamente sottoposto al controllo degli eredi Agnelli e di Piero Lardi Ferrari), dovrebbe reggersi sui soli marchi Alfa Romeo e Maserati.
Quanto all’Alfa Romeo, secondo voci di stampa (che però citano come fonti alcuni “fornitori” del gruppo) la nuova Giulia Quadrifoglio quattro porte non arriverà sui mercati europei prima della fine del prossimo anno, con circa 6 mesi di ritardo sulla tabella di mare finora prevista. Quanto al primo suv a marchio Alfa Romeo, basato sulla Giulia non dovrebbe essere lanciato prima dell’inizio del 2017, con nove mesi di ritardo rispetto a quanto programmato. Ritardi che naturalmente per ora il gruppo non ha voluto confermare né smentire ma che rischiano di far slittare ulteriormente il ritorno di Alfa Romeo negli Stati Uniti, visto che dal lancio in Europa a quello negli Usa sono previsti mediamente dai 3 ai 6 mesi di ulteriore attesa.
Se a questo si aggiunge che degli altri 6 modelli che l’attuale piano industriale di Fca prevede siano lanciati entro i prossimi 5 anni, si sa ancora poco o nulla, i progetti di Sergio Marchionne appaiono ogni giorno più ambiziosi e difficili da raggiungere. Anche perché i guai di Alfa Romeo sembrano avere una radice nella tiepida accoglienza finora riservata alle berline di Maserati dal mercato cinese, che avrebbe fatto partire una riflessione interna sulle proposte sia della casa del tridente sia del biscione.
Già a settembre, del resto, Marchionne, nel dirsi fiducioso della superiorità tecnica della nuova Giulia rispetto alle sue concorrenti tedesche, dovette ammettere: “se guardiamo la storia dei nostri interventi come proprietari del marchio, non ne abbiamo fatta una giusta ad eccezione degli ultimi due modelli, la MiTo e la Giulietta. Con queste due auto non abbiamo fatto nulla di grandioso, ma quello che abbiamo fatto prima è addirittura offensivo”.
Il problema, come detto, è che il benchmark utilizzato per Alfa Romeo, la Maserati, dopo un boom di vendite (in particolare della Ghibli) sta iniziando a sperimentare una fase di rallentamento delle stesse forse più marcata di quanto ci si attendesse, tanto che dopo alcuni primi limitati stop in settembre la produzione dell’impianto di Grugliasco verrà bloccata per altre 6 settimane nei prossimi due mesi (con una pausa di 4 settimane consecutive in dicembre).
Secondo i sindacati a circa 2.000 lavoratori verranno dati congedi temporanei per la maggior parte delle giornate e si avrà una pausa natalizia più lungo del solito. Il problema di Maserati è che pur essendo un marchio di grande fascino continua a rivolgersi a un mercato di nicchia, che non è comunque così ampio e profondo come si potrebbe sperare. Non è chiaro se tagliare la produzione (gli analisti si attendono un calo del 25% a poco più di 26 mila vetture rispetto alle 36.500 vetture vendute nel 2014) per adeguarsi a un ritmo di vendita più blando significhi che l’introduzione del suv Levante sia destinata ad essere anticipata o possa invece slittare.
Ma è chiaro che il rischio che gli obiettivi di vendita (40 mila vettura nel 2016, 50 mila nel 2017 e 75 mila nel 2018) possano non essere raggiunti, per lo meno non nei tempi annunciati finora, è cresciuto. Se ne saprà di più a gennaio, probabilmente, ma se Maserati stenta e Alfa Romeo rallenta a sua volta il ritmo per non rischiare un “flop”, anche l’obiettivo di salire dalle 68 mila vetture del biscione vendute l’anno scorso a 400 mila nel 2018, appare in predicato e con esso la sorte del “polo del lusso”, che per poter sostenere investimenti da 5 miliardi di euro come quelli annunciati finora deve poter contare su un volume di produzione sufficientemente elevato e costante.