Se qualcuno avesse ancora dubbi circa la scarsa attrattività dell’Italia, un paese che vede l’economia non riuscire a crescere da oltre 15 anni ed il cui fisco è tra i più onerosi (per l’Ocse il fisco si “mangia” il 42,7% del Pil e l’ex “bel paese” è preceduto solo da Danimarca, Francia, Belgio e Finlandia con una pressione fiscale ancora maggiore) e complessi al mondo (in dicembre vi sono 30 scadenze differenti, ma in mesi come gennaio si superano abbondantemente le 100 scadenze), dove il “mondo di mezzo” della corruzione si stima possa “fatturare” attorno ai 10 miliardi l’anno, dove i tempi della giustizia, anche solo per ottenere la protezione dei propri crediti, sono biblici, ecco arrivare l’ennesima conferma. Secondo indiscrezioni dell’agenzia Bloomberg poi rilanciate dal quotidiano confindustriale Il Sole24Ore e non smentite dal gruppo italo-americano, dopo Cnh Industrial e Fiat Chrysler Automobiles anche la Ferrari si appresterebbe a cambiare residenza.
In previsione dello scorporo della Ferrari da Fiat Chrysler Auto, il “cavallino” di Modena (dove resterebbero gli impianti produttivi) dovrebbe, se verrà seguito lo schema finora utilizzato, scegliere l’Inghilterra come sede fiscale, l’Olanda come sede legale (anche per i vantaggi legati alla legislazione sul voto plurimo che consentono un più agevole mantenimento del controllo di una società anche a chi, come la Exor del gruppo Agnelli, dispone non più della maggioranza del capitale ma solo di una sua “robusta” minoranza) e gli Stati Uniti come sede per la quotazione principale. Non è peraltro certo che l’azienda controllata all’80% da Fca volti le spalle al paese dove è stata fondata, ma le sirene di sua maestà potrebbero, legittimamente, persuadere gli azionisti a compiere tale mossa. Se in Italia mediamente la tassazione sulle grandi aziende è pari al 31,4%, in Inghilterra quest’anno Fca e Cnh hanno goduto di un tax rate del 20% (in ulteriore calo dal 21% dello scorso anno), mentre gli utili derivanti dallo sfruttamento di brevetti e invenzioni vengono tassati solo del 10% e dunque incentivano nuovi investimenti.
La mossa, che rappresenterebbe un ceffone molto poco virtuale assestato da Sergio Marchionne a Matteo Renzi e dunque confermerebbe le voci che l’ex sindaco di Firenze non sia più così in sintonia coi “poteri forti” come appariva pochi mesi fa, fa discutere per la verità anche gli esperti. E se Ugo Arrigo, docente di finanza pubblica dell’Università Bocconi, sottolinea come una simile decisione “segnalerebbe che l’Italia è un paese non attraente per le aziende e che il suo sistema fiscale è chiaramente non competitivo”, altri come l’analista finanziario indipendente (ed ex Chief investment officer di Sopaf), Paolo Sassetti, che proprio nel gruppo Fiat iniziò la sua carriera di controller e analista finanziario, afferma: “penso che la Ferrari non possa legittimamente fare una mossa simile e che, se la fa, l'Italia dovrebbe continuare a tassarne gli utili. Una cosa è la Fca, una multinazionale con stabilimenti ed uffici in tutto il mondo, diverso il caso della Ferrari, che ha un solo stabilimento, la progettazione e tutti gli uffici in Italia”.
Anche perché, conclude Sassetti, se passasse “l’idea che la sede fiscale la metti dove vuoi, allora deve valere anche per il droghiere sotto casa”, non solo per le grandi aziende. Sono totalmente d’accordo col collega ma, appunto, il caso in esame, al di là delle differenze specifiche rispetto a quanto già avvenuto per Fca e Cnh, altro non è che una eclatante conferma del fallimento di fatto del paese e della sua classe dirigente (politica, industriale e finanziaria che sia), incapace da quasi un ventennio di risalire la china ed anzi avvitatasi ogni anno di più in una battaglia di retroguardia a difesa di interessi personali (come nel caso di Silvio Berlusconi), o di bottega (come nel caso di tutti i partiti “tradizionali” di qualsivoglia colore), o al limite impegnata a cercare di scardinare la “vecchia” e ormai poco presentabile classe dirigente e le sue politiche, senza peraltro avere un minimo di credibilità nel proporre soluzioni concrete ai problemi del paese (come nel caso di Beppe Grillo e di M5S).
Agli italiani in questi decenni sono state narrate molte favole e qualche storia del terrore. Raramente gli si è presentato un quadro attendibile della realtà e quando qualcuno ha provato a farlo (come in parte Mario Monti), la reazione delle mille lobbies italiane è stata veemente e tale da rapidamente far archiviare ogni velleità di riforma, si trattasse di taxi, di farmacie, di pubblico impiego o delle libere professioni, solo per fare qualche esempio. Ma la realtà presenta sempre il conto, alla fine. E se può essere utile analizzare il problema, studiare attentamente cause ed effetti e valutare pro e contro (e distribuzione di entrambi) di soluzioni alternative, è ormai evidente che l’Italia non è più competitiva da tempo, che l’andamento dei mercati finanziari, dei tassi e degli spread è falsato, a nostro favore, solo dall’intervento della Bce, che la Germania non ci farà alcuno “sconto” perché non ha interesse alcuno a farlo e l’Italia non ha la forza di strappare un trattamento di favore come riesce (ancora per poco?) a fare la Francia. Forse dobbiamo sperare che la Ferrari fugga all’estero, potrebbe essere la volta che qualcuno si accorgerà che al di là dei proclami relativi alla volontà di incentivare gli investimenti e la crescita il re è nudo e non è un bello spettacolo a vedersi, decisamente.