Il re è nudo: mentre i governanti italiani di turno passavano dalla “crisi che non esiste(va)” alla “luce in fondo al tunnel” che ben pochi hanno finora visto, le Pmi tricolori hanno pagato in questi anni uno scotto elevatissimo, con quelle comprese tra i 5 e i 50 milioni di fatturato che hanno subito migliaia di chiusure e centinaia di migliaia di posti di lavoro persi. Lo ricordano gli esperti della Sda Bocconi che domani mattina a Milano (10 luglio, ore 10 presso la Sda Bocconi in Pizza Sraffa 13 aula 01) presenteranno la prima edizione dell’Opmi (Osservatorio Pmi), i relativi obiettivi e i risultati sin qui raggiunti, dando vita a una tavola rotonda moderata dal giornalista Dario Di Vico cui prenderanno parte tra gli altri Alberto Baban, presidente di piccola industria di Confindustria, Stefano Caselli, prorettore agli affari internazionali dell’Università Bocconi, Monica Cellerino, regional manager Lombardia di Unicredit, Gregorio de Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo (ed ex presidente dell’Aiaf, Associazione italiana analisti finanziari) e Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato.
Un evento rivolto “ad imprenditori, banchieri ed esponenti del mondo associativo” nel corso del quale gli esperti della Sda Bocconi (saranno presenti Federico Visconti, direttore Knowledge center small & medium enterprises e responsabile dell’Opmi, Fabio Quarato, docente del dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi e Guia Pirotti, professore di Strategia e imprenditorialità della Sda Bocconi) condivideranno le proprie analisi sull’evoluzione finanziaria delle imprese negli anni della crisi e discuteranno possibili soluzioni per superare lo stallo dei rapporti con il sistema bancario. Già, perché il punto, come sa da tempo chi mi segue su Fanpage, è proprio questo: per tornare a crescere serve un nuovo modello di relazioni tra le aziende (in particolare le Pmi) e le banche, dato che proprio il rapporto con il sistema bancario appare essere, per il sistema economico tricolore, una delle criticità da superare.
Sarà dunque l’occasione per quantificare nel dettaglio il “prezzo” pagato nel corso della crisi dalle Pmi italiane, tracciando il profilo e le prospettive delle migliori imprese sopravvissute. Come mi ha confermato l’ufficio stampa Bocconi l’indagine abbia monitorato 55.709 imprese italiane che hanno registrato un fatturato compreso tra i 5 e i 50 milioni di euro dal 2007 ad oggi. Di queste, entro la fine dello scorso anno, avevano dovuto chiudere i battenti ben 8.841 (quasi una su sei, ovvero il 15,9% del totale), una conferma che si è trattato di un “prezzo” non lieve. E’ dunque sempre più evidente quanto sia critico e dunque da innovare il rapporto banca-impresa, soprattutto in un paese come l’Italia che ha ancora relativamente poche alternative di finanziamento. Una interessante, che si sta sviluppando in questi ultimi mesi, sembra poter essere rappresentata dai “mini bond”, strumenti di debito stanno riscuotendo un crescente successo, ultima conferma essendo il lancio di un’emissione a tasso fisso (6,75%) a cinque anni per almeno 5 milioni di euro curata da Banca popolare di Vicenza per Global System International (Gsi).
Gsi è in effetti una “super Pmi” avendo chiuso il 2013 con ricavi consolidati pari a 64,5 milioni di euro, in crescita del 7% rispetto al 2012, ed un Margine operativo lordo di 3,9 milioni (dai 2,1 milioni del 2012) e come tale non rientra nell’universo osservato dagli studiosi della Sda Bocconi, ma i “mini bond” sono stati pensati specificamente per le Pmi e dunque potrebbero costituire una buona risposta. Per tutti gli altri, imprese e famiglie, la prospettiva di una ripresa sembra restare legata all’efficacia dell’azione posta in essere dalla Bce ed in particolare dalle future Tltro, che nelle intenzioni di Mario Draghi e dei suoi colleghi di Eurotower dovrebbero costituire gli strumenti per far arrivare liquidità all’economia reale, fornendo fondi a medio termine alle banche europee a tassi estremamente competitivi (si parla di uno 0,25% annuo) a condizione che gli istituti stessi li utilizzino per erogare nuovi finanziamenti e non per investire in bond come accaduto finora (sono esclusi i finanziamenti al settore immobiliare, evidentemente per non creare “bolle” in paesi come l’Inghilterra o la Germania).
Che la Bce possa riuscire nel suo intento è ancora oggetto di discussione tra economisti e operatori finanziari (e potrebbe essere interessante sapere cosa ne pensino al riguardo gli esperti riuniti domani dalla Sda Bocconi). Carlo Milani in un articolo su Lavoce.info ha spiegato che, visti anche due diversi benchmark definiti in un recente documento tecnico della stessa Bce per quanto riguarda la valutazione se una banca abbia o meno rispettato i vincoli cui sono legate le erogazioni di fondi, nella migliore delle ipotesi “alla banche dell’area euro basterà non razionare ulteriormente il credito per finanziarsi a tassi prossimi allo zero”, ma per le banche del Sud d’Europa (Italia compresa), “piuttosto che finanziare imprese e famiglie stremate da una crisi economica profondissima, sarà sicuramente più conveniente continuare a investire in titoli di Stato”. Si tratterebbe, insomma, di una forma indiretta di “quantitative easing” che la Bce, “dati i difficili equilibri interni al suo board” appare tuttora restia ad attuare direttamente. Il rischio, conclude Milani, è che “l’abbraccio mortale” tra banche ed emittenti sovrani anziché allentarsi “si farà sempre più stretto, minando la stabilità dei sistemi finanziari nel caso in cui le turbolenze dovessero riaffacciarsi sui mercati”. Sono ammessi gesti apotropaici, in attesa di capire se sia possibile intravedere qualche migliore via d’uscita da una crisi della domanda interna che il rigore fiscale fortemente voluto (anche a ragione, in astratto) dalla Germania non aiuta certo a risolvere.