Vi ricordate di Saipem? Azienda che per molti anni ha rappresentato un’eccellenza tecnologica italiana, un asset “incedibile” solo pochi anni fa quando sembrava che a farle una corte serrata vi fossero dai russi di Rosneft ai norvegesi di Subsea 7 e di Seadrill. Il crollo delle quotazioni petrolifere ha fatto svanire come neve al sole ogni possibile acquirente, la necessità di alleggerire i debiti di Eni ha fatto il resto, con un aumento di capitale da 3,5 miliardi che è servito solo per rimborsare quasi 6 miliardi di euro di prestiti erogati dalla capogruppo, facendo al contempo crescere l’indebitamento della controllata.
Non tutto è andato per il verso giusto, visto che le banche collocatrici si sono dovute spartire il 12,2% rimasto inoptato al termine dell’aumento stesso, ma tutto questo sembrava alle spalle grazie ad un rimbalzo dei prezzi del greggio tornato a sfiorare i 40 dollari al barile. I sogni, purtroppo, svaniscono all’alba e sui mercati finanziari i risvegli tendono a essere dolorosi: approfittando Jp Morgan e Goldman Sachs, ex lead manager del consorzio, hanno ceduto sul mercato 700 milioni di azioni che erano rimaste nei loro portafogli essendo risultate inoptate, tramite una vendita accelerata al prezzo di 0,39 euro.
Risultato? Oggi il titolo ha chiuso a 0,362 euro per azione, ossia esattamente il prezzo di esercizio dell’aumento di capitale, vedendo la capitalizzazione ridiscendere a 4,3 miliardi di euro. A questi valori il titolo perde il 63% abbondante rispetto a 12 mesi fa, ovvero poco meno del 55% da inizio anno, ma probabilmente non è finita qui. Il quantitativo di azioni vendute, per quanto ingente, rappresenta “solo” il 6,3% del capitale di Saipem, ossia poco più della metà dell’inoptato complessivo (pari a 1,2 miliardi di azioni, ovvero al 12,2% del capitale).
Le due banche americane hanno dimostrato di saper fare il proprio mestiere e si sono spartite una piccola plusvalenza di 19,3 milioni di euro che va ad aggiungersi alle commissioni intascate per aver garantito l’aumento. In lista d’attesa per uscire dal libro soci restano ora le italiane Mediobanca, Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo) e UniCredit, oltre a Citigroup, Deutsche Bank, Hsbc, Bnp Paribas, Abn Amro e Dnb Markets, tutte con quote inferiori al 2% che pertanto non debbono essere neppure segnalate alla Consob non costituendo una “partecipazione rilevante”.
Se è possibile che le banche italiane “per amor di patria” rimangano ancora qualche settimana o mese tra i soci, gli altri istituti verosimilmente approfitteranno di ogni rimbalzo di una certa consistenza per disfarsi dei propri titoli. Un segnale non esattamente di grande fiducia nelle prospettive della società tra i cui azionisti è di recente entrata, sopportando subito perdite, il Fondo strategico italiano controllato da Cassa depositi e prestiti.
Non che gli analisti siano particolarmente positivi circa la possibilità di un apprezzamento delle quotazioni: secondo Fidentiis, ad esempio, se nel breve periodo l’azione potrebbe seguire l’andamento del greggio, beneficiando di ogni eventuale rimbalzo dei prezzi, “nel lungo termine confermiamo il nostro scetticismo sulla storia di recupero”. Il broker conferma così il proprio consiglio di vendere (“sell”) il titolo e probabilmente è un’ottima idea, visto che anche per quanto riguarda il rimbalzo delle materie prime le cose potrebbero essere molto meno ottimistiche di come in questi giorni qualcuno ha provato a dipingere.
Secondo Goldman Sachs il rally avrebbe anzi i giorni contati: ogni recupero delle quotazioni nelle materie prime, argomentano gli esperti, è infatti destinato a generare un nuovo rialzo dell’offerta per cui è difficile che i prezzi possano salire stabilmente. Se per il rame e l’alluminio gli esperti americani vedono il rischio di un calo del 20% rispetto ai livelli attuali nei prossimi 12 mesi, anche nel caso di oro e petrolio le previsioni sono negative ed anzi per quel che riguarda l’oro nero gli esperti sostengono che il prezzo è destinato a oscillare ancora per diverso tempo in un’ampia banda compresa tra un minimo attorno ai 20 dollari al barile e un massimo attorno ai 40 dollari.
Guarda caso il livello sfiorato l’altro ieri e dal quale il petrolio sta già allontanandosi: solo una coincidenza o il segnale che era tempo di vendere i titoli Saipem rimasti in cassa? E chi avrà comprato con così poca lungimiranza i titoli stessi? Un poco più di trasparenza non guasterebbe e forse consentirebbe di evitare danni eccessivi agli investitori meno attenti ai “segnali” delle grandi banche d’affari.