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Sale la tassazione sulle rendite finanziarie: risparmio italiano sempre più tartassato

Da oggi le rendite finanziarie sono tassate al 26% anzichè al 20% (titoli di stato esclusi). E’ l’ennesima distorsione fiscale che avviene ai danni del risparmio italiano e rischia di impoverirlo, nonostante la tutela costituzionale di cui dovrebbe godere.
A cura di Luca Spoldi
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Ridurremo le tasse, giurano almeno dal 1994 tutti i governi italiani di ogni colore, ma puntualmente le tasse non solo non si riducono, semmai aumentano. Così da oggi la tassazione sulle “rendite finanziarie” (per piacere, non chiamatela “patrimoniale” visto che non riguarda elementi del patrimonio ma del reddito) sale dal 20% al 26%, salvo che per i titoli di stato (sui quali resta al 12,5%) ed introduce un ulteriore distorsione nella corretta allocazione del risparmio le cui conseguenze si vedranno direttamente nelle tasche dei risparmiatori italiani. Cerchiamo di capire perché e come.

Anzitutto l’aumento del prelievo fiscale andrà a tosare i redditi da capitali portando il peso complessivo ben oltre il 32%, visto che si somma alla “patrimonialina” (questa sì che merita l’appellativo) sui conti di deposito, conti correnti e conti titoli, salita dallo 0,15% allo 0,20% da inizio anno, nonché alla “tobin tax” sugli scambi (da inizio anno si paga lo 0,1% sulla plusvalenza realizzata se gli scambi avvengono su mercati regolamentati, lo 0,22% se su mercati non regolamentati, ovvero “over the counter”), “tobin tax” che già di suo ha introdotto una prima distorsione in quanto colpisce solo titoli (italiani) con capitalizzazione pari o superiore ai 500 milioni di euro, dunque interessa tipicamente quei titoli che finiscono nei portafogli dei fondi comuni d’investimento e nelle gestioni patrimoniali (e dunque anche in prodotti quali fondi pensione o polizze unit linked).

Cose che capitano quando si varano provvedimenti con motivazioni moralistiche che sottintendono la necessità di provare a far cassa in qualunque modo. Vogliate inoltre notare che, come prevedibile e come ampiamente annunciato, l’applicazione della Tobin Tax in Italia e in alcuni altri paesi ma non in tutti (la Gran Bretagna si è ben guardata dall’adottarla, per dire), ha già fatto “migrare” gli scambi ad elevata frequenza e in generale una buona parte dell’attività di trading (online e non), riducendo il giro d’affari di Piazza Affari. Tuttavia, nel concreto, la Tobin Tax non ha prodotto grandi danni al risparmiatore italiano medio, semplicemente perché di solito chi investe col “fai da te” non movimenta (salvo una nicchia di investitori amanti dell’attività di trading, appunto) così di frequente il proprio portafoglio d’investimenti.

A volte non lo movimenta affatto, visto che si tende ancora a investire innanzitutto in immobili (seconde e  terze case, negozi e uffici da affittare), nonostante un mercato fiacco e una tassazione che negli anni è andata sempre crescendo; in ogni caso spesso i piccoli e meno smalizizati rispariatori italiani inseriscono “prodottacci” come obbligazioni bancarie e/o unit e index linked dai costi elevati e dai rendimenti modesti (facendosi “mangiare” 2-3 o più punti percentuali l’anno di potenziale guadagno dalla banca, assicurazione o altro intermediario “di fiducia”, vale a dire dieci volte o più del danno che la Tobin Tax può potenzialmente arrecare), incuranti degli inviti a diverdificare maggiormente anche in favore di investimenti azionari, non necessariemente limitati alla sola Borsa Italiana.

Danni che potrebbe invece produrre l’ennesima tosatura delle “rendite finanziarie” che poi altro non sono se non gli interessi su conti correnti, depositi, polizze, ma anche dividendi azionari ed eventuali cedole distribuite dai fondi comuni. Per capire che danno potrà arrecarvi l’ennesimo giro di vite del fisco sul risparmio (alla faccia della tutela del medesimo prevista dall’art. 47 della Costituzione Italiana) torno a fare un esempio già formulato dal Sole24 Ore (e poi “spiegato” meglio dall’amico ed ex collega Mario Seminerio, della serie poi non dite che non ve l’avevano detto): se investite in uno strumento finanziario che vi rende un 3% lordo (per fare un confronto, per ottenere questo tasso da un titolo italiano bisogna scegliere emissioni con oltre 15-18 anni di vita, un decennale rendendo attualmente a malapena il 2,2% lordo annuo) da oggi la pressione fiscale complessiva sale al 36% (dal 30% precedente) nel caso di un titolo azionario, al 32,7% (dal 26,7%) per le obbligazioni societarie, i fondi comuni d’investimento e gli Etf, al 32,9% (dal 26,9%) per i certificati di deposito. Saluti e baci, per i titoli di stato la pressione fiscale resta stabile al 19,2% (perché appunto al 12,5% di prelievo sulle “rendite” si deve sommare l’imposta sostitutiva di bollo).

Se poi non riuscite a investire “almeno” al 3% (per un paese di 60 milioni di esperti in finanza no dovrebbe essere impossibile, o forse sì?) ma solo al 2%, magari perché siete investitori prudenti e i soldi li mettete solo nei conti di deposito della vostra banca, allora la pressione fiscale sale ulteriormente (di circa 3 punti percentuali ogni punto percentuale in meno di rendimento, dunque arrivando a sfiorare il 36% nel caso dei summenzionati conti-deposito). In realtà potreste evitare, quanto meno, di subire passivamente questa ulteriore aggravio d’imposta almeno per quanto riguarda le rendite maturate fino al 30 giugno scorso, in due diversi modi. Nel caso degli Oicr, gli organismi di investimento collettivo del risparmio (ossia di fondi e gestioni collettive) è previsto un regime “semplificato” per i sottoscrittori. In pratica le plusvalenze/rendite maturate sino al 30 giugno subiranno, al momento del disinvestimento, saranno tassate al 20%, quelle maturate dal primo luglio sino alla data di disinvestimento al 26%.

Questo però vale solo nel caso dei rimborsi di quote, mentre nel caso di distribuzione di dividendi si pagherà l’aliquota in vigore alla data del pagamento del dividendo stesso, quindi tutti i dividendi che venissero distribuiti da questa sera in poi saranno tassati (per intero) al 26%. E per il risparmiatore “fai da te” che opera in regime di risparmio amministrato? Potrà essere il risparmiatore stesso a chiedere, entro il 30 settembre, “l’affrancamento” ossia il conteggio fiscale con le vecchie aliquote fino al 30 giugno, tuttavia in questo caso dovrà pagare subito l’imposta su capital gain e plusvalenze ottenute e la richiesta varrà sull’intera posizione, ossia non sarà possibile selezionare solo titoli specifici.Le eventuali minusvalenze già realizzate e presenti nei dossier “affrancati” assieme a titoli che presentano plusvalenze saranno se non altro compensabili senza la necessità di vendere i titoli medesimi.

Ah, nel caso ve lo chiediate, la tassazione delle rendite finanziarie (aumentata o meno che sia) non può colpire ovviamente gli investitori esteri, che essendo per definizione non residenti scontano la tassazione in base al regime fiscale del proprio paese di residenza. Insomma: l’inasprimento fiscale pesa interamente sulle spalle dei risparmiatori tricolori riducendo ulteriormente il futuro reddito disponibile. Con un impatto che potete facilmente immaginare sui futuri consumi e investimenti (salvo, evidentemente, che non siate o siate stato un ministro o sottosegretario di un qualsiasi dei governi italiani degli ultimi decenni).

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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