Stress test bancari, parte seconda. Il giorno dopo il tracollo borsistico di Mps e Banca Carige, entrambi i titoli recuperano terreno in borsa mentre qualcuno avanza i primi dubbi sulla correttezza dell’esercizio condotto dalla Banca centrale europea guidata da Mario Draghi. Mps, che ieri aveva perso il 21,5%, partito a spron battuta stamane con un rialzo iniziale di quasi quattro punti, ha poi chiuso a 79,6 centesimi di euro per azione, in ripresa dell’1,4% ossia meno del recupero messo a segno dall’indice principale della borsa di Milano (Ftse Mib +2,35%), segno che almeno una parte di chi aveva comprato ieri sui minimi oggi ha già rivenduto i titoli sul primo rimbalzo. Banca Carige (ieri in rosso di quasi il 17% a fine giornata) dal canto suo ha recuperato ancora meno: appena lo 0,65% a 7,76 centesimi di euro per azione, dopo aver aperto la giornata a +7%.
Eppure i vertici dei due istituti non sono stati certamente con le mani in mano. Alessandro Profumo, presidente di Mps (oltre che ex numero uno di Unicredit) e Fabrizio Viola, amministratore delegato della banca senese dopo aver ricoperto la stessa carica in Bper, hanno subito incontrato i vertici di Banca d’Italia e Tesoro per fare il punto della situazione, approfondendo in particolare l’ipotesi di un eventuale slittamento del rimborso del residuo miliardo di “Monti bond” (che nella simulazione della Bce si è ipotizzato rimborsato a fine 2016, causando una “carenza” di capitali di 760 milioni rispetto ai requisiti minimi, a fronte di complessivi 2,111 miliardi di euro di maggior capitale richiesto da Draghi alla banca italiana). Uno slittamento che fonti del Tesoro hanno poi confermato essere tra le ipotesi allo studio anche se “non l’unica” ma che significherebbe in realtà pagare interessi salati.
L’istituto senese pagherà infatti il 9,5% di interessi sui bond non rimborsati sia quest’anno sia il prossimo, ma se allungasse la scadenza secondo le stesse clausole sottoscritte lo scorso anno quando vennero rinnovati i vecchi “Tremonti bond” con l’emissione di 3,9 miliardi di nuovi “Monti bond”, dovrebbe pagare uno 0,5% in più per ogni anno di ritardato rimborso. Se dovesse dunque far slittare dal 2015 al 2017 il rimborso integrale del miliardo, l’istituto finirebbe col dove pagare altri 200 milioni di interessi (cento milioni l’anno) oltre al capitale da restituire, arrivando così ad un “buco” di capitale complessivo di 1,35+1+0,2=2,55 miliardi. In alternativa Profumo e Viola potrebbero pensare ad emettere un’obbligazione “Tier 1” o “Tier 2” per 750-1.000 milioni (nel primo caso sarebbero necessarie minori garanzie ma il rendimento sarebbe più elevato, nel secondo caso l’opposto).
A quel punto si potrebbe avviare una campagna di cessioni: cedere 1-1,5 miliardi di crediti problematici (che solitamente vengono pagati il 10%-15% del loro valore nominale) potrebbero consentire di raccogliere altri 150-200 milioni di euro, girare 80-100 sportelli a qualche concorrente (in questo caso la banca può sperare di ricavare tra i 3 e i 5 milioni a sportello) potrebbe fruttare attorno ai 350-450 milioni, mentre dalla vendita di Consum.it (la controllata del gruppo attiva nel credito al consumo) e del comparto e del comparto leasing e factoring si potrebbero incassare attorno ad altri 800 milioni che potrebbero derivare dalla cessione. Il totale darebbe attorno agli 1,4-1,5 miliardi, più che sufficienti a chiudere la falla. Siccome però è difficile riuscire a vendere bene e in poco tempo, Profumo e Viola potrebbero comunque lanciare un aumento, magari per solo 1 miliardo di euro (pari a circa il 25% della capitalizzazione attuale) riservato o ai soci esistenti (tra cui Axa, Btg Pactual e Fintec) o a eventuali “cavalieri bianchi” italiani o esteri, pronti a mettere un piede a Siena in vista di futuri business da sviluppare.
Se Siena appare in gran movimento, neppure Genova è stata a guardare: in giornata è stato annunciato il raggiungimento dell’accordo col fondo Apollo Management per la cessione del 100% di Carige Assicurazioni e di Carige Vita Nuova per complessivi 310 milioni di euro. A questo punto l’istituto ligure deve trovare “solo” più 500 milioni e potrebbe procedere ad un aumento di capitale, tanto più che l’accordo già sottoscritto con Mediobanca prevede che l’istituto milanese sottoscriva fino a un massimo di 650 milioni di euro. Genova ha però voluto precisare che gli stress test della Bce sono risultati particolarmente ostici perché si è considerato il bilancio al 31 dicembre 2013, gravato da “ingenti rettifiche e svalutazioni non ricorrenti”.
Ma non è questa l’unica contestazione che viene mossa all’istituto guidato da Mario Draghi. Da più parti, infatti, si fa notare che i criteri applicati hanno di fatto “graziato” le banche tedesche e francesi, molto più esposte di quelle italiane ai derivati, penalizzando invece chi come Mps ha nei propri forzieri miliardi di titoli di stato. La cosa è balzata all’occhio quando si è notato che tutte le Landesbanken tedesche (salvo la piccola Munchener Hypothekenbank) hanno passato indenni la prova. Ma proprio le Landesbanken erano quelle banche regionali per le quali Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble avevano fatto fuoco e fiamme lo scorso anno per evitare che il controllo sull’operato bancario passasse dalla Bundesbank alla Bce. Una levata di scudi che ha fatto pensare a più di un analista che nei bilanci della Landesbanken possa nascondersi qualche cosa di poco piacevole, ma cosa?
Derivati finanziari, probabilmente, o prestiti accordati in base a criteri più “politici” che di mercato, visto la vicinanza di tale settore del credito alla politica locale (analogamente a quanto capitato in Italia nel settore delle banche popolari e del credito cooperativo). Un’accusa neppure troppo velata giunta niente meno che dalle colonne del Sole24Ore, il quotidiano confindustriale che si è chiesto come sia possibile che una banca come Deutsche Bank che ha un attivo patrimoniale di 1.580 miliardi vede considerati “asset ponderati per il rischio” (Rwa) appena 353 miliardi, mentre la traballante Commerzbank a fronte di attivi per 561 miliardi vede considerati “a rischio” solo 200 miliardi. Tutte considerazioni sacrosante, ma che per ora non smuovono il mercato, che resta diffidente nei confronti delle due “bocciate” tricolori. Solo speculazione, in vista di possibili e per alcuni probabili matrimoni italiani od europei, o sono possibili ulteriori sorprese negative? La sensazione è che la risposta arriverà a breve.