Economisti e analisti continuano a dividersi tra coloro che ritengono che la ripresa “si sta davvero materializzando” anche nella periferia Sud dell’area dell’euro, come gli analisti del Credit Suisse, appena rientrati, fanno sapere in un report, da un viaggio nelle capitali dei PIIGS, al termine del quale gli esperti hanno tratto la sensazione che “il senso del miglioramento è più evidente in Portogallo e Grecia, ma vi sono chiari segnali anche in Spagna e Italia” dopo che il Pil ha iniziato a registrare variazioni positive già nel secondo trimestre dell’anno per Lisbona e Atene, nel terzo trimestre per Madrid “e dovrebbe ritornare positivo entro questo trimestre in Italia” e chi nota che la ripresa per ora è solo questo, una variazione del segno di modeste variazioni del Pil ottenute in un quadro profondamente squilibrato in cui la disoccupazione resta alle stelle e di inflazione ce n’è sempre meno (il che è un bene per chi è indebitato a tasso variabile, ma è un male ulteriore per chi come gli stati, ad esempio l’Italia, si indebita prevalentemente a tasso fisso).
I primi sottolineano come le bilance dei pagamenti del Sud Europa siano tornate in territorio positivo grazie ad un aggiustamento “in gran parte strutturale”, mentre l’aggiustamento fiscale è tuttora in corso d’opera con “l’Italia che ha quasi completato il suo aggiustamento, mentre la Spagna dovrà tornare al tavolo da disegno ad un certo punto, probabilmente dopo le elezioni del 2015”, il Portogallo “è a buon punto, ma richiede a sua volta ancora qualche aggiustamento” e persino la Grecia “sta migliorando e, in termini strutturali, è richiesto poco per centrare il previsto, consistente, avanzo primario”. I secondi scuotono la testa e ricordano che, soprattutto nel Belpaese, il riequilibrio è stato ottenuto a un costo salatissimo fatto di una “mungitura” fiscale che ormai è arrivata a livelli d’allarme ma che alcune dichiarazioni di politici e sindacalisti sembrano indicare poter non essere “ultimativa” dato che la mentalità corporativa del paese non è granché cambiata e la tentazione di procedere a colpi di “tassa e spendi” sembra restare intatta al di là di ogni preannunciato futuro (sempre futuro) calo del prelievo fiscale in proporzione al reddito e come il “riequilibrio” della tassazione stessa da una tassazione prevalentemente “delle persone” a un fisco che si dedichi prevalentemente “alle cose” stia avvenendo semplicemente innalzando l’imposizione patrimoniale e sui consumi, ma senza ridurre quella sui redditi.
I volenterosi analisti del Credit Suisse notano anche “segnali di stabilizzazione del credito” di cui rallegrarsi e si dicono fiduciosi che se in ambito creditizio “alcune ricapitalizzazioni ulteriori potrebbero essere necessarie” per le banche greche, portoghesi, spagnole e anche italiane, “ci si aspetta siano contenute”, dunque non preoccupanti, mentre si notano i primi segnali di una “sia pure selettiva stabilizzazione degli aggregati creditizi”confermata anche nell’ultima settimana “dai risultati della consueta indagine sul credito condotta dalla Bce”. I più scettici tra i commentatori notano tuttavia come questo non significhi automaticamente che le banche italiane (sui cui bilanci continuano a gravare qualcosa come 260 miliardi di euro di “bad loan”, ossia crediti problematici, incagliati o in sofferenza) potranno, nonostante le “strigliate”, finanziare di più aziende e famiglie, in primis perché prosegue il trend di riduzione delle attività delle banche in tutta Europa (e l’Asset quality review della Bce non dovrebbe portare a risultati tali da consentire un’inversione di rotta, semmai potrebbe rassicurare i mercati che il grosso del lavoro di “pulizia” è già stato fatto e dunque non è necessario fare ulteriori pesanti svalutazioni, cui finirebbe col corrispondere un’ulteriore stretta del credito) e in subordine perché è difficile pensare che il credito riparta se non ci sarà una ripresa economica robusta che al momento resta là dal venire.
Così come andrà a finire? Secondo alcuni, e mi sentirei di essere tra costoro, con ulteriori piccoli passi e aggiustamenti “al margine” sia in Italia (dove la politica del “cacciavite” è esplicitamente la stella polare del governo Letta) sia in Europa (dove la Germania dovrebbe poter concedere un minimo più spazio per misure pro-crescita visto che è ormai evidente come l’inflazione non sarà un problema ancora per molti anni, non trimestri). Più che ripresa sarebbe dunque corretto parlare di una lunga convalescenza del “sistema paese” (sempre che abbia ancora senso ragionare in termini di sistema paese e non è detto sia così), che non sarebbe comunque una cattiva prospettiva non fosse per la controindicazione che così facendo finiremo col bruciare ogni prospettiva futura per noi e per i nostri figli, almeno quelli già cresciuti.
Se almeno si approfittasse per costringere il paese ad affrontare la realtà e rendersi conto che più che moralmente inaccettabile la difesa delle molteplici “rendite di posizione” delle tante lobbies e corporazioni in cui l’Italia è divisa è una strategia irrazionale, profondamente stupida, testimone di un’arretratezza culturale spaventosa che finisce col condannare il paese a giocare sempre in difesa e in posizioni di retroguardia, facendo scappare all’estero le imprese e i cervelli migliori, sarebbe già un passo in avanti e forse qualche segnale lo si nota a giudicare dagli ultimi investimenti di soggetti economici di prima grandezza, anche in Italia, nel settore della green economy e dei servizi e prodotti high-tech. Ve ne parlerò meglio domani, sperando di suscitare il vostro interesse.