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Ripresa: perchè da sole le misure della Bce rischiano di non bastare

Le misure varate dalla Bce giovedì scorso iniziano a produrre i primi effetti favorevoli per il Tesoro italiano. Ma Draghi vuole incentivare l’economia reale e per questo occorrerà affiancare ai suoi incentivi una serie di riforme strutturali (nel credito) e fiscali…
A cura di Luca Spoldi
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Le ultime mosse della Bce hanno avuto un primo effetto, quello di far ripartire la caccia ai bond dei paesi “periferici” dell’eurozona, in particolare i Btp italiani. All’asta odierna riservata agli specialisti che oggi ha visto offerti (e collocati) altri 1,2 miliardi della seconda tranche di Btp a sette anni scadenza 15 marzo 2023, le richieste presentate sono state pari a 5,2 miliardi. Altrettanto sostenute le richieste per il Btp a 15 anni, scadenza 1 marzo 2032, offerto (e collocato) per 225 milioni ma richiesto per oltre 813,5 milioni.

Ben diverso l’esito della riapertura dei Btp a 3 anni, scadenza 15 ottobre 2018, che offerti per 300 milioni sono stati richiesti (e quindi collocati) solo per 107,7 milioni, ma in questo caso il titolo era stato collocato, venerdì scorso, ad un tasso negativo dello 0,05% per la prima volta da quando esistono queste scadenze e visto che nell’asta per gli specialisti il prezzo (e il rendimento) non cambia rispetto all’asta per il pubblico, è chiaro che ben pochi potevano essere attratti dall’idea di dover pagare un tasso dello 0,05% annuo per il “piacere” di prestare soldi allo stato italiano.

Il Tesoro italiano può dunque essere contento e con esso i contribuenti, che (forse) vedono allontanarsi il rischio di una nuova manovra correttiva in primavera. Ma in realtà con la sua mossa la Bce guidata da Mario Draghi si appresta a dare fino a 2.200 miliardi di euro attraverso quattro operazioni speciali, le Tltro (la prima delle quali si terrà a giugno), a tassi pari a zero o negativi, incentivando dunque le banche a prendere i suoi denari a patto che le stesse facciano salire i propri impieghi nei confronti dell’economia reale (ossia prestino soldi a imprese e famiglie) oltre un benchmark che verrà fissato dalla stessa Bce.

Lo scopo ultimo dichiarato è quello di reflazionare l’economia dell’eurozona, spezzando la spirale deflazionistica che è figlia di una lunga stagione di austerity fiscale voluta fortemente dalla Germania che ha finito col congelare ogni “spirito imprenditoriale” nel Sud Europa. Non è dunque detto che la Bce riesca nel suo intento, ma quanto meno le banche, che in Italia oggi raccolgono denaro in perdita (ossia a costi mediamente superiori a quanto riescano a guadagnare impiegandolo), dovrebbero vedere ridursi questo svantaggio con una nuova crescita dello spread applicato alla clientela per il semplice fatto che raccoglierebbero denaro, tramite la Bce, ad un costo nullo o negativo ma non ridurrebbero in misura proporzionale il costo che la clientela paga per ottenere un nuovo prestito a breve o lunga scadenza che sia.

Ridurre il costo marginale della raccolta basterà per aumentare la propensione marginale agli impieghi delle banche (e a ridare fiducia alle aziende al punto da far crescere gli investimenti, anche richiedendo nuovi prestiti)? Questo nessuno lo sa, forse neppure la Bce, che pure ci spera a giudicare dalle stime che sempre la scorsa settimana ha rivisto sull’andamento della crescita economica nell’eurozona. Come sempre non dovete prestare troppa attenzione ai numeri finali, su cui purtroppo continua a incentrarsi l’attenzione dei governi (in particolare di quello italiano) e dei loro coriferi, quanto ai dettagli, spesso relegati a letture “specialistiche” forse per non preoccupare troppo la platea di chi vorrebbe capire di più come stanno realmente la cose.

Le cose stanno così, almeno secondo la Bce (e già dando per scontato che numeri e percentuali “puntuali” come sempre risulteranno più o meno distanti dai dati reali ex post): a trascinare la crescita di eurolandia saranno le due componenti della domanda interna, consumi e investimenti, non la spesa pubblica, perché gli stati sono già indebitati (alcuni come l’Italia ben oltre i livelli “fisiologici” e “salutari”) né tanto meno l’export, visto che anzi la sostanziale “tenuta” della crescita finirà col far aumentare le importazioni più delle esportazioni, esattamente come è già avvenuto quest’anno (export +4,8%, import +5,4% nel 2015).

Volete i numeri per capirne di più? Il consumo privato dovrebbe salire dell’1,9% rispetto all’anno precedente nel 2016, dell’1,8% nel 2017 e dell’1,6% nel 2018; la spesa pubblica crescerebbe dell’1,5% quest’anno, dell’1,1% l’anno successivo, dell’1,2% nel 2018; gli investimenti, miracolo, segnerebbero +2,7% a fine anno, +3,6% nel 2017 e +3,3% nel 2018. Se saranno le imprese (di quali paesi è ancora altro discorso) a contribuire maggiormente alla tenuta della crescita, nonostante la deflazione, nonostante consumi non certo “effervescenti” in vaste aree dell’eurozona, nonostante i chiari di luna dei paesi emergenti e il rallentamento ciclico degli Stati Uniti che potrebbero ulteriormente pesare sull’andamento di import ed export, non c’è molto da fare: occorre stimolare in tutti i modi gli investimenti.

L’unico modo che la Bce ha di farlo è impegnarsi a dare un sussidio per la crescita: tassi nominali nulli o negativi per le banche che daranno credito alle imprese, ovvero l'acquisto di titoli di debito privati (i bond corporate) accanto a quelli di debito pubblico. Da solo questi sussidi, pur importanti, non basteranno a produrre gli effetti che si sono visti negli Stati Uniti, perché lì accanto a stimoli monetari hanno agito una profonda ristrutturazione del sistema bancario e una politica fiscale espansiva che ha tagliato il cuneo fiscale che gravava sulle imprese.

In Italia finora di ristrutturazione bancaria si è parlato molto, si è iniziato a fare qualcosa (principalmente chiusure di filiali e riduzione di personale) ma si è evitato il grusso del problema (la risoluzione delle banche strutturalmente in difficoltà) visto che questo comporterebbe di addossare una parte del costo ad azionisti e obbligazionisti (come si è solo in parte visto con le quattro banche risolte a dicembre). Quanto alla politica fisca,e anziché tentare di offrire “bonus” e incentivi ai consumi privati, come si è scelto di fare senza apprezzabili risultati, si dovrebbe procedere rimodulando Ires e Irpef e riducendo il cuneo fiscale, cosa però che non pare possibile senza un riequilibrio complessivo del carico fiscale che andrebbe a intaccare tante piccole e grandi rendite di posizione.

Alla fine di questa spiegazione dovrebbe essere chiaro che, ammesso e non concesso che in Italia si noti un qualche beneficio concreto a seguito delle misure che verranno messe in campo dalla Bce, almeno la visione di come stanno le cose dovrebbe essere chiara a tutti e da tutti condivisa, poi ciascuno potrà proporre soluzioni differenti per fare in modo che l’impulso dato dalla Bce (dalla cui liquidità le banche tricolori continuano a dipendere molto più delle loro concorrenti europee) non vada sprecato. Al momento non si direbbe, eppure prima o poi la realtà tende a imporsi sulle interpretazioni che si vogliono dare della stressa, speriamo in modo non troppo traumatico.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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