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Riparte il valzer delle aggregazioni tra telecom europee

Il settore delle telecomunicazioni europee torna sotto i riflettori dei mercati finanziari. Una nuova stagione di “spezzatinie” e integrazioni è alle porte e ridisegnerà i tratti del comparto. Quali conseguenze per Telecom Italia?
A cura di Luca Spoldi
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Cosa bolle in pentola nel settore europeo delle telecomunicazioni? In attesa di dare il via a investimenti imponenti per predisporre le reti di “quarta generazione” fino a ieri la parola d’ordine dei principali gruppi del settore, spesso “figli” di una sciagurata epoca di operazioni a forte leva finanziaria, era: tagliare il debito. Telecom Italia, che pure oggi ha chiuso in rialzo di oltre il 6% a Piazza Affari (ma il bilancio degli ultimi 12 mesi resta pesante, con un calo delle quotazioni attorno al 30%), negli anni ha visto una serie di passaggi di mano dopo la privatizzazione decisa dal Governo Prodi nel 1997 e la nascita di un “nocciolino duro” guidato dal gruppo Agnelli col 6,62% del capitale (sigh). Prima si è trattato dell’Opa da 61 mila miliardi di vecchie lire di Colaninno-Gnutti nel 1999 (contro cui tuonò, inascoltato, l’attuale presidente operativo ed allora amministratore delegato Franco Bernabè), poi del subentro dei gruppi Pirelli-Benetton attraverso Olimpia nel 2001 (che strapagò i titoli in mano a Gnutti e Colanninno: 4,175 euro contro una quotazione di mercato di soli 2,25 euro, col tempo caduta, è storia di poche settimane fa, al di sotto dei 60 centesimi di euro), infine, non prima di una fusione Telecom Italia-Tim nel 2005 e conseguente lancio di un’Opa totalitaria (il cui costo alza l’indebitamento da 29 a 44 milairdi di euro), del nuovo cambio di cavallo col trasferimento della quota Pirelli di Olimpia a Telco, nuova “scatola magica” in cui sono presenti Telefonica, Generali, Intesa Sanpaolo e Sintonia (gruppo Benetton, poi uscito di scena).

Per ridurre nel tempo il debito contratto, i vari proprietari succedutisi ai comandi dell’ex monopolista telefonico italiano hanno negli anni scorporato e ceduto una serie di asset, come ad esempio l’assicurazione Meie (nel 2000, a Unipol), l’Italtel (sempre nel 2000, al fondo Clayton e a Cisco), Sirti (ancora nel 2000, ad un gruppo di investitori privati), Telespazio (nel 2002 a Finmeccanica), Finsiel (nel 2005 al gruppo Cos), Tim Hellas (nel 2005 ai fondi Apax Partners e Tpg), Hansanet (nel 2009 a Telefonica), la quota in Elettra Tlc (nel 2010 a France Telecom), Loquendo (nel 2011 a Nuance Communication), Matrix, proprietaria del portale web Virgilio (nel 2012 a Weather Investment, già proprietaria del portale Libero) e infine La7 (pochi mesi or sono a Cairo Communication). Non solo: si è tentato di scorporare la rete fissa per poi procedere ad una sua parziale dismissione (si è parlato di un possibile intervento di Cassa depositi e prestiti), ma la revisione al ribasso delle tariffe all’ingrosso decise dal’Agcom ha finito col mettere il progetto in stand by, mentre l’ostilità del socio spagnolo all’eventuale ingresso di Hutchinson Whampoa ha di fatto bloccato ogni ipotesi di fusione con 3 Italia.

Tutti ottimi motivi per i grandi investitori per andarci cauti prima di investire in un settore che sta soffrendo da anni di un calo di redditività, specie in Europa, della difficoltà di trovare un modello di business adeguato (il mantra della “convergenza tecnologica” che ha giustificato negli anni passati l’integrazione delle attività di telefonia fissa, mobile e internet sta cedendo il passo sempre più di frequente all’ipotesi di tornare a vedere degli “spezzatini” che consentano di riassemblare il settore in senso orizzontale anziché verticale), perché allora, improvvisamente, sembra tornato a sbocciare se non un amore a prima vista almeno una “corrispondenza d’affettuosi sensi” tra investitori e i maggiori titoli del settore europeo, Telecom Italia in testa? Perché nel frattempo la crisi economica almeno nel Nord Europa si va attenuando, la previsione di nuovi investimenti come detto si avvicina e i “big” del settore provano a unire le forze o riassemblare i pezzi del meccano, disfandosi di attività ritenute non più strategiche per rilevarne di nuove.

Dopo che Vodafone poche settimane fa ha annunciato l’acquisizione dell’operatore via cavo Kabel Deutschland per 7,7 miliardi di euro (mentre oggi ha ammesso, per bocca del suo presidente Gerard Kleisterlee, di essere pronta a considerare un’offerta per il proprio 45% di Verizon Wireless che il partner, Verizon Communications, ha già detto di voler rilevare), è stata la volta proprio di Telefonica (che a fine giugno aveva ceduto, guarda caso a Hutchinson Whampoa, le proprie attività irlandesi per 850 milioni di euro) di annunciare l’acquisizione, a un prezzo superiore alle attese (8,1 miliardi di euro di cui 5 miliardi in contanti, contro i 6 miliardi ipotizzati sino a stamani dalla stampa finanziaria e dal mercato), di E-Plus, controllata del gruppo Kpn operante in Germania nel settore della telefonia mobile, da parte della spagnola Telefonica, che tramite Telco ricopre il ruolo di azionista di riferimento anche del gruppo italiano.

Dopo l’integrazione di E-Plus in Telefonica Deutschland Holding (società in cui Kpn avrà una quota del 17,6%), prevista per la metà del prossimo anno, la nuova società, che opererà sotto il marchio O2, sarà il nuovo leader in termini di clienti tra i gestori di telefonia mobile voce operanti in Germania davanti a Deutsche Telekom ( 37 milioni di clienti) e Vodafone (che di clienti ne ha 32,4 milioni). In teoria l’operazione si “ripaga da sé” se è vero, come sostiene Telefonica  (che ha subito ribadito di voler ridurre sotto i 47 miliardi di euro l’indebitamento finanziario netto entro fine anno), che vi saranno a regime 5-5,5 miliardi di euro di risparmi di costi e “sinergie” sui ricavi. In pratica la storia delle fusioni aziendali insegna che è meglio aspettare di vedere i risultati effettivi prima di cantar vittoria, anche perché il gruppo spagnolo dovrà comunque finanziare l’operazione con un aumento di capitale di Telefonica Deutschland che sarà sottoscritto in proporzione dai suoi azionisti, il che significa che il gruppo spangolo (attualmente proprietario del 76,8% della controllata tedesca ma in futuro destinata a scendere al 65%) sottoscrivere azioni per 2,84 miliardi.

Inoltre, dato che si fondono il terzo e il quarto operatore tedesco del comparto, l’Antitrust tedesco o quello europeo potrebbero voler dire la propria, imponendo qualche condizione prima di dare via libera alla fusione. La mossa spagnola sembra tuttavia riaprire i giochi e non sarà un caso che Franco Bernabè, ieri ad un incontro col Commissario Ue Neelie Kroes (cui compete il dossier dell’agenda digitale) assieme ai vertici delle principali compagnie di telecomunicazione europee, abbia ribadito come il progetto di scorporo della rete fissa italiana non si debba ritenere definitivamente accantonato ma solo in “stand by”, anche se oggi il presidente dell’Antitrust italiano, Giovanni Pitruzzella, parlando oggi davanti alla commissione Lavori Pubblici del Senato, ha ribadito che sullo scorporo restano “alcuni nodi da sciogliere”, come “la governance della nuova società, il grado di allentamento dei vincoli regolatori che si accompagnerà a tale operazione, i tempi di realizzazione, particolarmente lunghi, i costi dell’operazione che appaiono non banali”. Finirà tutto in un grande spezzatino e in un conseguente nuovo giro di “risiko”? E quale sarà l’effetto sia per gli investitori sia per i dipendenti del comparto, in particolare in Italia? La sensazione è che ne sapremo di più in tempi brevi, probabilmente prima della fine dell’anno.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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