Sì, si può dire che abbiamo vinto noi. Sì, perché dei 750 miliardi complessivi di aiuti per superare la crisi post Coronavirus, l’Italia ne otterrà ben 209, molti di più dei 173 promessi dalla prima proposta della Commissione Europea. Sì, perché i Paesi cosiddetti “frugali” non avranno alcun diritto di veto – né da soli, né assieme – su come l’Italia deciderà di spendere i suoi soldi. Sì, perché avevamo bisogno come l’aria di tanti soldi in tempi rapidi. Sì, perché ha ragione il presidente del Consiglio dell’Unione Europea Charles Michel quando afferma che il Recovery Fund da 750 miliardi era a dispetto dei più inguaribili degli ottimisti una missione impossibile.
Sì, si può dire sia merito del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro dell’economia Roberto Gualtieri che si sono dimostrati dei bravi negoziatori. Attenzione, però: gran parte del merito – e Conte l’ha ricordato più volte – va attribuito ai suoi pesanti alleati, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron, il cui impegno per un accordo con meno vincoli possibili, nel più breve tempo possibile è stato decisivo. Ma non è solo cosa di questi giorni: se oggi si parla di 390 miliardi di sussidi a fondo perduto per aiutare l’economia in crisi, molto dipende da quella proposta franco-tedesca dello scorso 19 maggio. Allora, va ricordato, i miliardi di sussidi erano 500, ma anche solo pensare di essere riusciti a vedere quel progetto così simile a quegli Eurobond, che sembravano un tabù sino ad allora, concretizzarsi in poco più di due mesi è oggettivamente un grande risultato.
Sì, si può dire che tutto questo fa bene all’Europa. Perché rafforza le economie del Vecchio Continente, offrendo loro soldi per investire e per farlo nei settori in cui più bisognerà investire nei prossimi anni, dalla riconversione ecologica delle produzioni e del patrimonio edilizio sino alla transizione digitale che il lockdown ha accelerato ma che comunque è ancora lungi dal concludersi. Ricordiamoci di quanto lentamente si mosse l’Unione Europea dopo la crisi del 2009 e nei mesi della crisi del debito greco. Oggi l’Unione Europea si è mossa e ha deciso sia perché in questi anni ha messo in campo nuovi strumenti e nuovi organismi per affrontare insieme le sfide del mondo moderno, a partire dal tanto vituperato Mes, l’ombrello invisibile che anche oggi sta evitando che sull’Europa si scateni una tempesta finanziaria sui debiti pubblici fuori controllo.
Sì, si può dire tutto questo. Ma ora tocca a noi non sprecarlo. La storia degli ultimi anni dell’Italia in Europa è lastricata di buone intenzioni e cattive azioni. Abbiamo promesso che mai avremmo fatto esplodere il nostro debito se la Banca Centrale Europea avesse cominciato a comprarlo, e puntualmente è successo. Abbiamo negoziato flessibilità promettendo riforme e revisioni della spesa, e l’abbiamo utilizzata per aumentare sussidi e regalie, dagli 80 euro a Quota 100, che non hanno mosso l’economia italiana nemmeno di un millimetro. Abbiamo usato fiumi di denaro per salvare Alitalia e le sue sorelle, mentre le nostre scuole cadevano a pezzi e i nostri viadotti si sbriciolavano nel vuoto. Abbiamo buttato via miliardi su miliardi di fondi europei perché incapaci di spenderli, mentre collezionavamo procedure d’infrazione perché incapaci di rispettare le regole.
Oggi abbiamo vinto, ma sarà la nostra ultima vittoria se non sapremo far davvero tesoro di quelle centinaia di miliardi. Anche perché se butteremo via quei soldi, come abbiamo fatto negli ultimi decenni, la nostra economia difficilmente si risolleverà da una crisi come quella che sta arrivando, con 10-12 punti di Pil in meno e uno o due milioni di disoccupati in più. Oggi abbiamo vinto, ma la partita più difficile è quella che inizia domani. Quando torneremo da Bruxelles e dovremo ricominciare a distribuire quei soldi, a Roma. Questa volta prendere i soldi e scappare non basta più. Questa volta finirà molto male, se non li sapremo spendere.