C’è un titolo a Piazza Affari che sembra non risentire del clima di incertezza seguito al referendum britannico del 23 giugno: Rcs Mediagroup. Con la chiusura odierna a 84,5 centesimi di euro per azione il titolo raggiunge una capitalizzazione di oltre 435 milioni di euro, quasi il doppio (+98%) rispetto a solo tre mesi fa, ma ancora un 15% inferiore ai livelli di un anno or sono. Il motivo è presto detto: dopo l’ultimo ritocco dell’offerta di Cairo Communications che venerdì scorso ha portato la sua offerta a 0,17 azioni per ogni azione Rcs (contro le 0,16 azioni precedenti), equivalenti stasera a 71,4 centesimi di euro, domani ci sarà lo showdown definitivo.
Questa volta entrambi i contendenti, Cairo da una parte, la cordata composta dal fondo Investindustrial di Andrea Bonomi, Diego Della Valle, Mediobanca, Pirelli e UnipolSai dall’altra, invieranno la loro ultima offerta migliorativa in Consob, in buste chiuse, così da non aver alcun riferimento né vantaggio l’uno rispetto all’altro. L’asta per Rcs è il solo motivo per cui il titolo salga, unico di tutto il comparto editoriale italiano, che a ieri perdeva mediamente poco meno del 18%, con alcuni gruppi in evidente affanno come Class Editori, che da inizio 2016 ha dimezzato la sua capitalizzazione e adesso vale poco più di una trentina di milioni, allegati in omaggio compresi.
Il panorama settoriale dei media italiani non promette del resto nulla di esaltante per il momento, dopo un 2015 chiuso con una contrazione media dei ricavi dell’1,2% scendendo da 14,4 miliardi a 14,2 miliardi (dati Agcom) essenzialmente legato ad un calo del 7,5% (da 4,32 a poco meno di 4 miliardi di euro) del solo comparto editoria, dominato dal Gruppo Editoriale L’Espresso (20,5% dei ricavi totali) e da Rcs Mediagroup (18,9%), che insieme detengono poco meno del 40% del mercato, per la parte restante molto frammentato, coi vari Caltagirone, Monrif, IlSole24Ore e Itedi tra il 7,2% e il 6% a testa. Operazioni di consolidamento sono dunque prevedibili (e in parte già annunciate, come quella tra Itedi e L’Espresso), ma si debbono confrontare con la dura realtà di un mercato che stenta a ripartire dopo anni di progressivo calo.
Proprio i dati Agcom hanno dato un piccolo dispiacere a Urbano Cairo, testimoniando come in ambito televisivo La7 non riesca a consolidarsi come terzo polo, anzi stia perdendo terreno nei confronti del gruppo Discovery (2,3% dei ricavi totali, dal 2% dell’anno scorso, contro l’1,5% del gruppo che fa capo a Cairo, in calo dall’1,7% del 2014). Insomma, il quadro è complesso e visto che nessuna delle due cordate pare particolarmente versata per quanto riguarda nuovi modelli di raccolta pubblicitaria online come quella tramite video (Youtube) e social media (Facebook), vista in ulteriore crescita dopo gli ottimi risultati dello scorso anno, sarà difficile che domani i Cairo o i soci storici di Rcs si straccino le vesti.
L’unica novità che potrebbe ancora cambiare le carte in tavola in una partita che sembra avviata alla conclusione scontata, la chiusura a riccio del vecchio establishment dentro uno degli ultimi “salotti buoni” (o presunti tali) rimasti, potrebbe essere la discesa in campo a fianco di Urbano Cairo di un fondo di private equity o di un fondo sovrano, interessato a un investimento finanziario a medio termine in una storia di ristrutturazione come l’editore di La7 ha più volte promesso di voler avviare. Se questo si verificherà e se il rilancio a quel punto sarà vicino o poco distante dagli attuali valori di borsa difficilmente il Cda di Rcs potrà eccepire sulla “non congruità” dell’offerta di Cairo e a qual punto ai soci storici non resterebbe che trattare una resa onorevole per cercare di contare ancora qualcosa nella futura Cairo-Rcs. Finirà così o il mercato si è fatto prendere la mano? Lo sapremo tra poche ore.