Tanto tuonò che piovve: l’affondo di Urbano Cairo, spalleggiato da Intesa Sanpaolo, principale creditore di Rcs Mediagroup, provoca la reazione dei soci del “salotto buono” di Via Solferino, che riescono a convincere Andrea Bonomi a imbarcarsi in una contro-Opa, annunciata formalmente oggi da Investindustrial, Mediobanca, Della Valle, UnipolSai e Pirelli, i quali offrono 70 centesimi di euro per azione, in contanti, per ogni titolo Rcs (che subito in borsa fa un balzo del 16,55% chiudendo appena sotto la soglia dell’offerta, a 69,35 centesimi), contro l’offerta “carta contro carta” (0,12 azioni Cairo Communication per ogni titolo Rcs) che, sulla base del valore dei due titoli del 7 aprile scorso, data di annuncio dell’offerta, equivalevano a 0,551 per ciascuna azione Rcs e che stasera, col titolo Cairo Communication che ha chiuso a 4,34 euro per azione (-2,56%), equivale a soli 52,08 centesimi per azione.
Bonomi è nipote di Anna “la signora dei danè” e figlio di Carlo, ex numero uno della Bi-invest che fu scalata dall’allora presidente di Montedison, Mario Schimberni, in assoluto il primo a dare l’assalto, in Italia, a un esponente della finanza dei “salotti buoni”, quella che per decenni ha guidato il capitalismo familiare italiano, ricco di relazioni e povero di denari (o almeno della voglia di rischiare i propri). Che aderisca ad un tentativo di arrocco guidato da Mediobanca e dal fronte “anti Cairo” subito palesatosi l’indomani del lancio dell’offerta da parte del patron di Cairo Communication, non stupisce, come non stupisce la reazione del titolo: chi offre di più vince, è la regola di qualsiasi mercato, persino in Italia dove di solito il mercato è di fatto controllato da accordi e patti sociali tra “grandi soci”.
Quello che semmai stupisce è che qualcuno possa ancora darsi la pena di lanciarsi in operazioni costose (circa 283 milioni di euro, di cui il 55% peseranno su Investindustrial e il 45% in modo paritetico sui soci Rcs) per il mantenimento del controllo di un’azienda che dal 2010 a oggi ha visto il giro d’affari più che dimezzarsi e ha accumulato perdite per 1,3 miliardi solo negli ultimi 5 esercizi. Così il debito, arrivato a sfiorare il miliardo di euro cinque anni or sono ed era ancora a 850 milioni a fine 2012, pur dimezzandosi (509 milioni a fine marzo) ha continuato a crescere rispetto al patrimonio netto e al margine operativo lordo, essendo ormai pari a 4 volte il primo e 6 volte il secondo.
Il tutto nonostante che in questi anni si siano avute cessioni (Rcs Libri, la sede di via Solferino, le radio, Igp decaux, la partecipazione in Dada, Flammarion) per complessivi 350 milioni circa, una conversione di titoli di risparmio in ordinari che ha fruttato circa 40 milioni e un aumento di capitale da 410 milioni. Come dire che pur trovando mezzi freschi per 800 milioni, sulla carta sufficienti a quasi azzerare il debito, Rcs non ha saputo fare il suo mestiere, ossia creare prodotti editoriali in grado di trovare un mercato sufficientemente redditizio.
Va detto che il settore editoriale in Italia è da anni nel bel mezzo di una crisi “disruptive” dovuta sia alla crisi economica, che ha tagliato gli investimenti pubblicitari, sia all’emergere di nuova offerta editoriale soprattutto sul web, che ha impattato fortemente sui ricavi diffusionali. Ma, appunto, perchè lanciarsi in un tentativo di difesa e rilancio di un vecchio business model anzichè puntare su qualche nome nuovo? La verità, non così inconfessabile, è che Rcs resta un gruppo che può esercitare una qualche influenza (per quanto declinante) sulla pubblica opinione, con tutto quanto ne consegue in termini politici e industriali.
In borsa tutto ciò si è riflesso con una costante perdita di valore di Rcs che ha portato la capitalizzazione a ridursi a meno di 200 milioni di euro, prima di risalire ai 310 milioni di stasera grazie all’annuncio dell’offerta di Urbano Cairo prima e di Bonomi e dei soci Rcs ora. Se per Bonomi può essere una scommessa, perché i vecchi soci, che nell’avventura Rcs hanno mediamente perso dall’80% al 90% di quanto investito, hanno deciso di lanciarsi in una contro Opa? Secondo alcuni trader per un motivo meramente economico, ossia per tentare di recuperare almeno una parte delle perdite finora accumulate.
Di editori, del resto, nella compagine che oggi ha annunciato la contro Opa non se ne vede traccia e non si capisce dunque come potrebbero ottenere un risultato migliore di quello, pesantissimo, già ottenuto finora. In compenso ciò che resta del capitalismo familiare italiano perde un altro pezzo per strada: contrariamente alle attese di alcuni, il gruppo Agnelli, che a fine aprile aveva distribuito ai propri azionisti il 16,73% detenuto in Rcs, ha avviato tramite Exor il ricollocamento sul mercato dei titoli e dal 4,879% (più un 1,565% in mano alla controllata Interim One Bv in liquidazione) è già scesa al 4,5% e intende proseguire il collocamento nelle prossime settimane, senza dunque passare per l’adesione a una delle due offerte.
L’obiettivo di Exor è di concludere il proprio disimpegno entro il primo trimestre 2017, quando è in calendario la fusione di Itedi col gruppo editoriale l’Espresso-Repubblica, che rispetto a Rcs ha una redditività maggiore, con un margine sui ricavi del 9% contro il 6,7% di Rcs. Basterebbe forse questo per capire come al di là di quello che sarà l’esito della battaglia attorno a Rcs (vittoria di uno dei due schieramenti, armistizio tra gli stessi dopo “congruo” rilancio da parte di Cairo o pace basata sull’acquisizione della Gazzetta dello Sport da parte del patron di Cairo Communication nonché presidente del Torino Calcio) l’epoca dei salotti buoni volge, finalmente, al termine e anche in Italia inizia un confronto “non collusivo” tra gruppi concorrenti basato sui rispettivi e differenti business model e sulla risposta che il mercato darà loro.