La riforma Rc Auto (forse) si avvicina e l’atmosfera torna a scaldarsi, con gli intermediari che secondo il Sole24Ore proprio a causa del calo della redditività della raccolta Auto debbono sempre più tirare la cinghia: l’utile medio di un’agenzia per singola polizza intermediata, sottolineava il quotidiano di Confindustria nel suo inserto Plus24 di sabato scorso, sarebbe calato a 3,7 euro, con un calo conseguente della redditività media delle agenzie assicurative italiane a soli 71 mila euro annui a fine 2013, contro i 104 mila euro medi di fine 2007, mentre in parallelo il numero di agenzie su tutto il territorio nazionale scendeva a meno di 13 mila, fenomeno peraltro collegato anche ad alcune fusioni e acquisizioni che stanno gradualmente ridisegnando il mercato italiano.
Eppure secondo l’authority di settore, l’Ivass, che da poco ha pubblicato uno studio al riguardo, “gli assicurati italiani hanno corrisposto come media (dei premi) del periodo 2008-2012, un premio di tariffa, per la sola garanzia di responsabilità civile auto, largamente superiore alla media degli altri paesi” della Ue, pagando mediamente 144 euro a polizza in più, pari al 56% in più, somma dovuta “per 108 euro (+49%) al maggior costo sinistri e per 21 euro (+28%) alle commissioni e spese di gestione”. Allo stesso tempo, aggiunge l’Ivass, nonostante “la fase acuta della crisi finanziaria internazionale, le imprese assicurative italiane hanno tuttavia realizzato in media i migliori risultati tecnici (al netto dei proventi finanziari) contenendo le perdite a 2 euro per polizza, a fronte di una perdita media Ue di 17 euro a polizza”.
A occhio le compagnie italiane non hanno esattamente di che recriminare, ma visto che uno dei punti qualificanti della riforma da tempo attesa (almeno dallo scorso febbraio, quando il governo Letta dovette stralciare la bozza di riforma dal decreto “Destinazione Italia” dopo il mezzo scandalo seguito alla denuncia de Il Foglio di una serie di “emendamenti fotocopia” di deputati Pd e Forza Italia a favore delle compagnie) sarebbe l’introduzione di una qualche limitazione alla possibilità di “differenziare” territorialmente le tariffe, ecco che la temperatura torna a salire.
Quella della differenziazione delle tariffe è un argomento delicato: per via di tale differenziazione, ad esempio, un automobilista residente in Campania a ottobre ha pagato mediamente (dati dell’Osservatorio Rc Auto di Facile.it) un premio medio Rc Auto di 1.293,86 euro, in crescita rispetto a 6 mesi fa (quando era pari a 1.280,81 euro) dell’1,02%, ma in calo rispetto a un anno prima del 5,11% (pagava 1.363,47 euro in media), mentre a livello medio nazionale il premio risultava pari nello stesso mese a soli 642,16 euro, con un calo del 4,76% rispetto a sei mesi prima (era pari a 674,24 euro) e addirittura del 10,72% rispetto all’ottobre 2013 (quando era pari a 719,24 euro). Anche in questo caso il “mercato” non sembra aver danneggiato le compagnie, per lo meno non quelle operanti in Campania.
Sarà per questo che a temere un aumento “compensativo” di eventuali futuri riduzioni dei premi pagati nelle aree del paese (Campania e non solo) sembrano essere soprattutto gli automobilisti del Nord e del Nord-Est. Ma è giustificata una simile diversificazione e dunque (non) è necessario introdurre un limite a tale pratica? I differenti premi dovrebbero in teoria coprire il costo dei differenti rischi di avverarsi dell’evento contro cui ci si assicura, ossia di un incidente. Da sempre le compagnie sostengono che in Campania (e in generale al Sud Italia) l’incidenza delle truffe sia tale da aumentare sensibilmente il costo e il numero dei presunti incidenti.
Un sondaggio realizzato presso le 26 principali compagnie italiane da Kpmg Advisory nel 2011 e dedicato appunto alle “Frodi nel settore assicurativo” italiano, ad esempio, segnalava come secondo le compagnie medesime “il ramo Rc Auto per le sue peculiarità (obbligo a contrarre ed entità ridotta dei risarcimenti richiesti in caso di sinistro) sia quello maggiormente esposto al rischio frodi”. Il fenomeno, notava Kpmg Advisory, “è difficile da arginare dal momento che sembra si sia instaurato una sorta di circolo vizioso: la sempre maggiore incidenza delle frodi è causa dell’aumento dei costi di liquidazione per le Compagnie che in parte si scarica sull’aumento dei premi pagati dagli assicurati che a sua volta incentiva le truffe, soprattutto in periodi di instabilità economica” come l’attuale. Fin qui niente di nuovo, ma forse occorre fare un passo avanti.
Appare infatti inaccettabile che il costo del “rischio frodi” debba essere addossato ai soli automobilisti onesti ed in particolare sui residenti in una manciata di province italiane, tanto più che questo circolo perverso incentiva ulteriori forme di “elusione” dal pagamento del premio più elevato (peraltro note anche alle mosche sulla carta moschicida) quali la diffusa pratica di intestare la copertura assicurativa ad un automobilista non residente nella provincia “incriminata” (tipicamente un parente di primo grado del reale proprietario dell’autoveicolo assicurato). Non solo: sempre secondo l’analisi di Ivass, la Rc auto italiana “è quella che registra negli ultimi due esercizi (2011 e 2012) valori del loss-ratio (rapporto sinistri su premi di competenza, ndr) di gran lunga più contenuti della media Ue (77,6% contro 82% e 69,8% contro 81,5%) e cosi anche considerando le spese” (combined-ratio: loss ratio più expense ratio, ndr), “pari al 96% contro una media del 103% e dell’88,2% contro una media del 101%”. Dunque di che stiamo parlando se non di un "mercato" in realtà assai meno "sfavorevole" alle compagnie di quanto già non accada nel resto d'Europa?
Ma l’eventuale limite che venisse introdotto dalla addivenendo riforma Rc Auto (il sottosegretario allo Sviluppo economico, Simona Vicari, ha dichiarato la scorsa settimana che se ne sarebbe parlato “a breve” in seno al Consiglio dei ministri) su che cifre e quali compagnie andrebbe a impattare? Quanto al primo elemento le frodi, sempre secondo l’Ivass, i sinistri fraudolenti rappresentano in Italia non più del 2,5% del totale contro il 10% della media europea, variando a seconda della regione tra meno dello 0,5% (in Val d’Aosta) e quasi il 9% (in Campania). Per le compagnie l’incidenza delle truffe sarebbe maggiore, ma non dovrebbe superare il 5%-10% medio (con possibilità ovviamente di avere incidenze ancora più diversificate tra singole regioni). Verosimile dunque che si chieda di limitare la differenziazione delle tariffe a non più di un 15%-20% rispetto ad un dato medio nazionale. Quanto ale compagnie più esposte al “rischio riforma”, esse sarebbero in particolare Generali, UnipolSai e Cattolica Assicurazioni, non a caso i principali gruppi operanti nel ramo Rc Auto.
Ma anche se fosse vero quello che sostengono le compagnie assicurative, ossia che una differenziazione territoriale è necessaria per far fronte al differente rischio frodi (e ai connessi costi), davvero non è possibile fare nulla rispetto alla situazione esistente? Magari introducendo in via facoltativa (con sconti certi e sostanziosi per chi l’adotta) o obbligatoria (con riduzione in parallelo dei premi pagati) della “scatola nera”? O magari col varo di quel famoso “organismo anti frode” di cui da anni si discute senza costrutto e che potrebbe, ad esempio, accertare e segnalare a compagnie e magistratura i casi di accertata frode da chiunque perpetrata o favorita (assicurati, autoriparatori, medici o periti di parte che siano)? Personalmente ritengo una mancanza di volontà politica, o se volete una sudditanza del “palazzo” agli interessi della lobby degli assicuratori più che degli assicurati, il fatto che in Italia nel 2014 a pagare il costo maggiore per la disonestà di pochi e la scarsa presenza di efficienti meccanismi di concorrenza all’interno del settore assicurativa siano sempre e solo i “fessi” che non sanno trovare un modo “furbo” per aggirare la norma. Voi che ne pensate?