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Rapporto Censis 2013: “La classe dirigente italiana responsabile della crisi”

L’istituto punta il dito contro politici, imprenditori e banchieri, responsabili primari della crisi: “E’ impossibile pensare a un cambiamento perché la classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla”.
A cura di D. F.
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"La classe dirigente italiana tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema, magari partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre che hanno la sola motivazione e il solo effetto di far restare essa stessa la sola titolare della gestione della crisi". Ad affermarlo non è un bollettino rivoluzionario, ma il rapporto annuale del Censis, che rivela come negli ultimi anni si siano imposte nella dialettica sociale e politica "tre tematiche che sembrano onnipotenti nello spiegare la situazione del Paese: la prima è che l’Italia è sull’orlo dell’abisso, la seconda è che i pericoli maggiori derivano dal grave stato di instabilità e la terza è che non abbiamo una classe dirigente adeguata a evitare il pericolo del baratro”. Sulla base di questi presupposti, secondo il Censis, "non si illumina una realtà sociale con questi atteggiamenti ed è impossibile pensare a un cambiamento perché la classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla: una tentazione che peraltro vale per tutti, politici come amministratori pubblici, banchieri come opinionisti". Questo atteggiamento inevitabilmente produce una società con "troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro ed evasione fiscale" e dove si diventa infelici, sotto il peso di un "inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali".

Ma il rapporto del Censis è ancora più duro quando attacca la classe politica che ha dedicato le sue attenzioni alla "stabilità" a tutti i costi, ma "non può certamente coprire lo sconforto collettivo di fronte al permanere dei pericoli di catastrofe" e che ha portato in un momento critico "a una tale paura del conflitto da sfociare in una ‘reinfetazione’ delle forze politiche nelle responsabilità del presidente della Repubblica", senza tuttavia capire che una mossa di questo tipo è in realtà "un grande incubatore di disturbi essenziali e di sistema". Il dossier del Censis lancia duri attacchi alla politica, spiegando che "negli ultimi 12 mesi i governi che si sono avvicendati hanno emanato oltre 660 provvedimenti di attuazione delle varie leggi di riforma, mentre la quota di quelli effettivamente adottati è stata pari a circa un terzo". Non sorprende dunque che "gli italiani sono sicuramente molto meno attivi della media dei cittadini europei per quanto concerne il coinvolgimento nei processi decisionali pubblici", al punto che "più di un quarto dei cittadini manifesta una lontananza pressoché totale dalla dimensione politica". I risultati sono noti da mesi: le famiglie italiane sono oggi notevolmente impoverite. hanno cambiato abitudini alimentari, preferendo di gran lunga il risparmio alla qualità del cibo. Diminuiti anche i consumi di carburante e agli svaghi (come teatro e cinema). I risparmi tuttavia non sono sufficienti ad arginare le paure: un'improvvisa malattia, ad esempio, si rivelerebbe drammatica.

Il Censis suggerisce di dare priorità all'occupazione e di farlo senza continui inutili proclami. E vede nel ruolo degli stranieri un elemento fondamentale: "Di fronte alle difficoltà di trovare un lavoro dipendente, costretti a lavorare per restare in Italia, gli stranieri si assumono il rischio di aprire nuove imprese". Non a caso, come spiega il rapporto, gli imprenditori italiani sono calati del 4,4% dal 2009 al 2012, mentre i titolari d’impresa nati all’estero sono aumentati del 16,5 per cento. Nel mirino del Censis anche l'istruzione: "L’affanno che gli atenei mostrano nei confronti internazionali è la conseguenza di un sistema universitario per certi versi troppo provinciale. Le università italiane stentano quindi a collocarsi all’interno delle reti internazionali di ricerca, poiché la prevalente connotazione locale pesa sulla reputazione internazionale".

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