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Opinioni

Quanto costa la tranquillità?

I nuovi Bund luglio 2022 rendono l’1,77%: vuol dire che chi cerca la tranquillità per i propri capitali accetta di perdere mediamente l’1,5% annuo in termini reali. A questo punto non è meglio investire in Btp? Dipende…
A cura di Luca Spoldi
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Borse in rialzo, nuove tensioni sui Btp

La tranquillità costa l’1,5% annuo. Quanto costa la tranquillità, almeno per un investitore italiano? Al momento circa l’1,53% annuo lordo, vale a dire il rendimento reale che ogni sottoscrittore del nuovo Bund scadenza luglio 2022 perderà rispetto all’inflazione (che al momento permane al 3,3% nel Belpaese e che sebbene a livello europeo sia prevista in calo dal 2,7% medio attuale all’1,4% a fine anno non è detto possa scendere di molto sotto il 3% in Italia visto anche il previsto rialzo delle due aliquote base dell’Iva, dal 10% al 12% e dal 21% al 23% il prossimo ottobre), dal momento che oggi il titolo tedesco, emesso per la prima volta (per 3,8 miliardi a fronte di un importo massimo preannunciato di 5 miliardi e di una domanda pari appena a 1,1 volte l’offerta, che ha finito col rendere l’asta stessa “tecnicamente scoperta”, cosa che non succedeva da novembre scorso, visto che la Bundesbank è intervenuta acquistando parte dei titoli). E poiché stiamo parlando comunque di un titolo decennale emesso in un momento di marcato rallentamento economico in tutta Europa (che in parte colpisce persino la Germania), destinato a calmierare gli aumenti dei prezzi al consumo, non è detto che l’1,77% possa mai rappresentare, anche in futuro, un tasso appetibile né riesca a raggiungere l’inflazione se non episodicamente, il che significa che chi oggi “parcheggia” i suoi capitali in titoli di stato tedeschi sa già che perderà una parte dei capitali stessi, accettando dunque di pagare una sorta di premio a fronte di una polizza assicurativa anche negli anni a venire.

Non è meglio puntare sui Btp? A questo punto la domanda sorge spontanea: non è meglio visto questi tassi investire su un più rischioso ma anche più appetibile Btp italiano che, sempre stasera, rende mediamente il 5,53% (15 punti base meno della vigilia) a fronte di uno spread sui Bund del 3,75% (29 centesimi meno di ieri)? Vorrei poter rispondere senza esitazioni: sicuramente sì. Ma posso farlo solo in parte e a determinate condizioni. Anzitutto investire in titoli di debito di un qualsiasi paese significa fare credito al Tesoro del paese medesimo, dunque al suo governo e alla sua capacità di far crescere nel lungo periodo l’economia del paese al massimo delle sue possibilità (eliminando quel che si chiama “output gap”) e comunque a un tasso sufficiente a ripagare il debito (dunque ad un tasso tendenzialmente almeno pari se non superiore agli interessi sul debito). Il che dopo 15 anni di assenza dei crescita e con tassi comunque elevati è a dir poco un azzardo, sia pure di quelli che un investitore avveduto può decidere di correre quanto meno per i prossimi 2-3 anni visto che di fatto dopo che la Bce ha irrogato con oltre mille miliardi di liquidità a tre anni all’1% fisso annuo il mercato sino agli inizi del 2015 non vi saranno problemi né per le banche a sottoscrivere titoli pubblici (cosa che in effetti avviene per sfruttare il carry trade, ossia la differenza, a proprio vantaggio, tra il costo del denaro fornito dalla Bce e il rendimento dei titoli di stato in cui parte di questo denaro viene investito) né per gli stati a emettere titoli entro tale scadenza (come prova il fatto che persino Grecia e Portogallo continuano a emettere senza particolari problemi quantitativi, sia pure modesti, di titoli a breve termine).

Investitori consapevoli per far ripartire l’economia. Accanto agli altri ingredienti necessari al rilancio della crescita in Italia che non mi stancherò mai di ripetere (minore pressione fiscale, minore burocrazia, minore evasione fiscale, minore corruzione, maggiore flessibilità, ma regolamentata, del mercato del lavoro, maggiori incentivi a sostegno della cultura e della diffusione dell’innovazione) anche una maggiore partecipazione degli investitori italiani alla “scommessa Italia” potrebbe rivelarsi un tassello importante per recuperare una maggiore democrazia economica e una certa autonomia fiscale ed economica (sia pure all’interno di un sistema comunitario che resta comunque un ambiente che favorisce la crescita delle aziende italiane più che non un impossibile ritorno ad una condizione “stand alone” o peggio ancora autarchica). Se non altro perché comporterebbe una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell’intero corpo sociale e dunque richiederebbe (si spera) comportamenti adeguati e “virtuosi” da parte del mondo imprenditoriale e di quello politico, in questi anni fin troppo intenti a tutelare unicamente se medesimi e le proprie rendite di posizioni più o meno legittime (o illegittime) per poter dedicare tempo a elettori, contribuenti e “risorse umane” come invece accade in altri paesi quali la Germania, la Francia o l’Inghilterra (dove infatti molti dei nostri migliori giovani e meno giovani finiscono ogni anno con l’emigrare quando non partono per l’Asia o per l’America). Una maggiore consapevolezza dei propri diritti/doveri di investitori (e contribuenti, nonché elettori ) è necessaria anche per poter giudicare con spirito critico l’operato dei governi pro-tempore in carica, senza eccedere in sterili polemiche ma neppure illudersi che qualcuno abbia bacchette magiche (di cui non dispone) in grado di porre rimedio in pochi mesi ai danni prodotti da decenni di malgoverno della cosa pubblica (e di quella privata).

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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