«La Banca centrale europea, agendo rapidamente, taglia i tassi di 10 punti base. Stanno tentando, e con successo, di svalutare l'euro contro il dollaro molto forte, danneggiando l'export americano. E la Fed sta seduta, seduta e seduta». Parole e musica di Donald Trump, che ha affidato come suo solito a Twitter il suo commento alle nuove misure decise dalla Banca Centrale Europea di Mario Draghi: un nuovo Quantitative Easing – tradotto: soldi pompati nel sistema del credito – da 20 miliardi al mese di durata indefinita; giù i tassi d’interesse, già negativi, da -0,40% a -0,50%. E infine un nuovo Tltro – tradotto: un aiuto alle banche che prestano soldi alle imprese per investire – con tassi ancora più favorevoli e condizioni ancora migliori per le banche che presteranno denaro oltre un certo livello.
Eccolo, insomma, il colpo di coda di SuperMario, necessario a tracciare la strada a Christine Lagarde, sua succeditrice destinata alla guida della Bce, l’ennesimo bazooka per aiutare l’economia europea, proprio nel giorno in cui l’Ifo, istituto per la ricerca economica con sede a Monaco, ha tagliato ulteriormente le stime di crescita dell’economia tedesca parlando esplicitamente di “recessione alle porte”. Necessario e tempestivo, ma non risolutivo. Perché quest’intervento all’ultima curva del mandato di Draghi mostra tutte le debolezze dell’economia dell’Eurozona. E nel contempo, tutta l’inefficacia delle scelte fatte in questi ultimi anni per sostenerla.
Primo: per quanto possa sembrare paradossale, Draghi propone un secondo Quantitative Easing perché il primo ha fallito. Tra marzo 2015 e dicembre 2018 la Banca Centrale Europea ha creato e pompato nelle banche europee 2600 miliardi di Euro per portare l’inflazione al 2% e a oggi l’inflazione europea stagna ancora attorno all’1%. Per questo serve un nuovo stimolo, dice Draghi, e serve sia illimitato. Il problema è che questo nuovo bazooka ha una potenza di fuoco pari a un terzo rispetto a quello precedente, che non ha centrato il suo obiettivo. Di fatto, Draghi ci sta dicendo che l’Eurozona ha bisogno di stimoli anche solo per mantenere l’attuale livello dei prezzi. Non esattamente una buona notizia.
Secondo: l’economia europea non può sopravvivere nella competizione globale con Usa e Cina se non svaluta l’Euro, e questo è quel che Draghi ha fatto abbassando ulteriormente i tassi: ha svalutato la nostra moneta sul dollaro. Un “regalo” alla Germania, sperando ne risollevi le esportazioni messe in crisi dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina e ne allontani lo spettro della crisi. Il problema, semmai, è che la Federale Reserve americana, spinta dall’invito via Twitter di Trump, decida di fare altrettanto, scatenando l’ennesima guerra commerciale a colpi di stimoli finanziari, seguita a ruota da Cina e Giappone. Nei fatti, oggi la politica economica delle grandi economie globali è guidata dalle scelte delle banche centrali. Pessimo segnale, pure questo. Per l'Europa. Per la Germania. E pure per noi italiani.
Terzo: la politica economica europea deve cambiare rotta. Draghi l’ha detto tra le righe del suo intervento, in cui ogni parola è pesata ad arte: “Dobbiamo essere consapevoli degli effetti collaterali della nostra politica monetaria”, ha dichiarato, quasi come stesse leggendo il bugiardino di una medicina che può alleviare il dolore, senza tuttavia curare il malato. E già che c’era SuperMario l’ha indicata pure, la cura: una politica fiscale più espansiva. “È il momento di un'azione immediata ed efficace, spendete di più. Dare soldi alle persone è compito della politica fiscale, non della politica monetaria”, ha aggiunto, e immaginiamo, saranno fischiate le orecchie a molti. Far crescere la domanda interna attraverso stimoli fiscali e non monetari – tradotto: investimenti pubblici, tagli delle tasse – è d’ora in poi l’unica strada che può aiutare l’Europa a crescere. Messaggio a Berlino: basta accumulare surplus commerciali da urlo, è il momento di stimolare la domanda interna e di abbandonare il dogma del pareggio di bilancio. Messaggio a Bruxelles: cambiate le regole e scorporate gli investimenti pubblici dal calcolo del deficit. Più di così, la Bce non vi può aiutare: non l’ha detto, Draghi, ma è come se l’avesse fatto.