Eni, Enel, Fiat, le grandi banche, ma anche Finmeccanica o Fiat: difficile sulla stampa italiana, cartacea o digitale che sia, leggere articoli fortemente critici contro questi soggetti che spesso sono i pochi “big spender” rimasti e dunque soggetti da trattare coi guanti di velluto. Guanti che le grandi agenzie di informazione estere, come pure alcune banche d’affari (quasi sempre estere) non sembrano trovare necessario indossare, dando a volte l’impressione di voler anzi calcare la mano. Ultimi esempi in ordine di tempo un’inchieste di Bloomberg su alcuni presunti sprechi del Pentagono che tirano in ballo l’italiana Finmeccanica e un report piuttosto “pepato” di Ubs sul settore creditizio del Bel Paese.
Quanto alla prima, Bloomberg ha segnalato come sedici aerei da trasporto in panne siano costati sinora ai contribuenti americani almeno 486 milioni dollari per essere lasciati abbandonati “tra erbacce, casse di legno e vecchi pneumatici all’aeroporto internazionale di Kabul, in attesa di essere distrutti senza mai essere stati consegnati alla Afghan Air Force”. I veivoli in questione sono i turboelica G222 ricondizionati dalla controllata nord americana di Alenia Aermacchi (gruppo Finmeccanica) e non sarebbero più in grado di volare “dopo appena 200 delle 4500 ore di voli di addestramento e missioni previste tra il gennaio e il settembre 2012” in base a un contratto con la Us Air Force, “a causa di persistenti problemi di manutenzione”. I G222 in questione avrebbero dovuto costituire circa il 15% della forza aerea militare afgana, trasportando alti funzionari civili afgani e truppe da combattimento oltre a occuparsi di operazioni di evacuazione.
Invece, sottolinea Bloomberg, “sei degli aerei già sono stati cannibalizzati per recuperare parti di ricambio, secondo quanto ha riscontrato una verifica indipendente da parte dell’Ispettore generale del Pentagono”. Oltre ai 16 aerei a Kabul, ci sono altri 4 G222 in Germania e la Us Air Force avrebbe già deciso a marzo di non rinnovare il contratto di manutenzione di Alenia Aermacchi “perché (l’azienda italiana) ha costantemente fatto fatica a soddisfare i requisiti contrattuali”. Anche se riferita a vicende già in qualche misura note, la polemica non farà bene al gruppo italiano, in questi mesi già finitp nell’occhio del ciclone per le presunte tangenti pagate per una fornitura di elicotteri militari in India, una commessa da 560 milioni di euro per l’acquisto di 12 AW-101 prodotti da Agusta Westland che New Delhi ha cancellato dopo aver accusato l’azienda italiana di aver violato il patto di integrità, ossia di aver pagato tangenti per vincere la gara d’appalto. Vicenda sulla quale, va ricordato, indaga anche la magistratura italiana, col Pm Eugenio Fusco che negli scorsi giorni ha mostrato a sorpresa un “papiello” dal quale emergerebbero le cifre pagate (in tutto si tratterebbe, pare, di 56 milioni, vale a dire il 10% del valore della commessa).
Quanto alle banche, secondo gli analisti di Ubs il problema sono le sofferenze. La questione anche in questo caso non è una novità, ma il quadro che emerge sembra preoccupante: “L’Italia rappresenta uno dei maggiori mercati europei di “non performing loan” (Npl, crediti problematici), con una dimensione di 243 miliardi di euro e con uno dei peggiori rapporti di copertura del rischio, pari in media al 38,4%”. C’è da dire che l’Italia, come ho già ricordato, vanta una delle legislazioni più rigorose e dunque è più facile notare la pagliuzza negli occhi delle banche italiane che alcune travi in quelle di concorrenti esteri, ma questo non cambia i valori assoluti di cui si parla che toccano tutti i maggiori istituti tricolori. Secondo Ubs infatti di quei 243 miliardi di crediti problematici (scaduti, ristrutturati, incagliati o in sofferenza, a seconda della gravità dei casi) il 23%, ossia quasi 56 miliardi di euro, sarebbe in mano a Unicredit, il 20% (48,6 miliardi) ad Intesa Sanpaolo, il 12% (29 miliardi) sarebbe in mano a Mps, il 7% (17 miliardi) al Banco Popolare, il 5% (12 miliardi abbondanti) a Ubi Banca, il 3% (oltre 7 miliardi) a Bper, mentre il restante 30% (quasi 73 miliardi) sarebbe polverizzato tra le altre banche italiane.
Il risultato, scrivono gli esperti rossocrociati, è “un impatto negativo sulla percezione del rischio e il livelli di valutazione, con le banche che hanno il maggior stock di crediti deteriorati che trattano ai multipli inferiori” rispetto ai concorrenti (com’è ovvio che sia, naturalmente). Non solo: come più volte ricordato anche su Fanpage lo stock di crediti problematici sarebbe destinato ad aumentare ancora entro la fine del 2013, cosa che non stupisce, se non altro a causa della persistente debolezza del quadro macro italiano e viste le pressioni di Banca d’Italia e Bce perché le banche “puliscano” i loro bilanci (in vista dell’appuntamento con gli stress test europei avviati questo mese e che si concluderanno nell’ottobre del prossimo anno). Secondo gli analisti di Ubs quest’anno saliranno ad un tasso annuo di crescita composta (Cagr) dell’11%, dopo che tra il 2008 e il 2012 sono già aumentati ad un Cagr del 31%.
I colleghi di Ubs si “divertono” anche a calcolare alcuni rapporti come il coverage ratio (rapporto tra le riserve di bilancio e il totale dei crediti problematici lordi) o il rapporto tra i crediti problematici e il coefficiente patrimoniale Core Tier 1 (il capitale di migliore qualità in quanto più facilmente esigibile/liquidabile in caso di difficoltà). Indovinate: il quadro che ne emerge è sconfortante in particolare per Banco Popolare, Bpm e Banca Carige. La sensazione è che nonostante il continuo recupero delle quotazioni non tutti i problemi delle banche italiane siano stati risolti e forse che una o più di esse possa finire preda di qualche concorrente estero se il quadro macroeconomico tardasse ulteriormente a migliorare. Il che è tutto meno che una sorpresa, purtroppo.