Il candidato centrista alle presidenziali francesi, Emmanuel Macron, vede salire il proprio consenso dopo il primo confronto televisivo, allontanando così lo spettro di una eventuale, per quanto finora poco probabile, vittoria dell’esponente dell’estrema destra anti-euro e anti-Ue, Marine Le Pen, e i titoli di stato italiani tornano a recuperare terreno, col rendimento sul decennale guida che cala nuovamente sul 2,31% e lo spread coi Bund di pari durata che si riporta sull’1,85%.
Tassi più bassi sui titoli di stato (verso cui le banche restano molto sensibili), ma al tempo stesso la prospettiva di tassi in graduale risalita sulle scadenze a brevi (con conseguente recupero della redditività in termini di margine d’interesse), rappresentano due buone notizie per le banche italiane, come suggerisce un report di Credit Suisse secondo cui la potrebbe ottenere un effetto maggiore (e più positivo) sui bilanci delle banche dell’Eurozona rialzando il tasso sui depositi che non avviando il “tapering” (rallentamento graduale degli acquisti sino a zero) del suo programma di quantitative easing, sono buone notizie per le banche europee.
Ancora migliore è la notizia dell’entrata in vigore, da oggi, delle nuove linee guida della Bce sul trattamento dei crediti deteriorati (Npl), da tempo il vero tallone d’Achille degli istituti di credito tricolori. Secondo la Bce, infatti, le cessioni sul mercato non sono l’unica opzione a cui possono ricorrere gli istituti, bensì una delle possibilità assieme al recupero o alla cancellazione degli Npl stessi o all’escussione delle garanzie.
Il tutto dovrà avvenire, aggiunge la Bce, in base a tempistiche fissate dalle stesse banche, purché siano realistiche e “ambiziose”, dunque in ogni caso non rigidamente fissate da Eurotower la cui vigilanza dialogherà coi singoli istituti per valutare ove fosse necessario maggiore tempo per la piena applicazione delle linee guida medesime.
Intendiamoci, avere “realisticamente” più tempo a disposizione è un aiuto che però andrà sfruttato continuando a cercare di risolvere il problema, visto che alla fine dello scorso settembre gli Npl rappresentavano ben il 16,24% dei crediti totali erogati dalle banche italiane contro un dato medio del 6,49% per l’intera Ue.
Peggio delle banche italiane stanno solo quelle irlandesi (Npl pari al 17,75% dei crediti totali), quelle portoghese (i cui Npl rappresentano il 19,82% dei crediti totali), quelle cipriote (con Npl pari al 40,28% degli attivi) e quelle greche (Npl pari al 47,05%), guarda caso i paesi che in questi anni hanno già visto un “bailout” europeo.
Nel frattempo anche BpVi e Veneto Banca hanno presentato formale domanda di intervento pubblico tramite attivazione di una ricapitalizzazione preventive, come già accaduto nel caso di Mps. Rispetto all’istituto senese le due banche venete in questi giorni hanno in corso un’offerta di transazione proposta ai propri azionisti che nei mesi passati hanno visto azzerato il valore dei propri titoli azionari, per disinnescare un rischio di contenziosi legali stimato in complessivi 4 miliardi di euro.
In più BpVi e Veneto Banca potrebbero vedere anche il fondo Atlante, attuale azionista quasi totalitario, partecipare in qualche misura alla ricapitalizzazione preventiva che, si badi, servirà solo (anche nel caso di Mps) a riportare il capitale a livelli giudicati “di sicurezza” dalla Bce, non a ripianare perdite passate o perdite “prevedibili” (come quelle che si avrebbero cedendo gli Npl a prezzi più elevati di quelli che il mercato è disposto a riconoscere accollandosi il rischio di successive ulteriori perdite generate dagli stessi), sicché entrambi gli istituti dovranno prima superare, come già avvenuto per Mps, il vaglio delle autorità europee ed essere considerati solvibili.
Non è da escludere, secondo alcuni, che anziché procedere alla “fusione a freddo” tra i due istituti, come ipotizzato dal fondo Atlante, alla fine si opti per cedere a un fondo o ad un concorrente, anche straniero, uno dei due istituti, quello più appetibile e più facilmente rilanciabile, e concentrare gli sforzi sull’istituto più debole, sfruttando appunto il maggior tempo implicitamente concesso dalla Bce per chiudere questi e altri salvataggi. Sullo sfondo restano i problemi che colpiscono le aziende clienti, affrontare con successo i quali rimane la vera condizione per poter assistere a una ripresa dell’intera economia italiana e del settore del credito al suo interno.