Che mondo sarà da qui al 2050? Se ha ragione lo studio di PricewaterhouseCoopers (Pwc) intitolato “The long view”, che esamina le 32 principali economia mondiali sulla base della parità del potere d’acquisto, sarà un mondo molto diverso da quello attuale, almeno in termini di potere economico, anche se non necessariamente peggiore.
Entro tale data le economie più importanti saranno quelle che attualmente sono classificate come “economie emergenti”, ma anche per i paesi più sviluppati il futuro potrebbe essere migliore del presente, visto che l’economia mondiale nel complesso dovrebbe raddoppiare. Il peso delle prime sette economie emergenti, infatti, è visto salire dall’attuale 35% del Prodotto interno lordo (Pil) mondiale al 50%, con solo gli Stati Uniti in grado di rimanere tra le maggiori sette economia mondiali entro il 20150.
La Cina, che in base alla parità del potere d’acquisto (ossia calcolati utilizzando prezzi relativi che esprimono il rapporto tra i prezzi nelle valute nazionali degli stessi beni o servizi in paesi diversi) è già la maggiore economia mondiale, nel 2050 lo sarà con ancora maggior distacco, visto che vedrà il proprio Prodotto interno lordo (Pil) salire all’equivalente di 58.500 miliardi di dollari dai 21.300 miliardi attuali.
Al secondo posto, anziché gli Stati Uniti vi sarà l’India, attualmente la terza maggiore economia mondiale, con un Pil di 44.100 miliardi di dollari contro gli 8.700 miliardi attuali; gli Usa saliranno a loro volta da 18.600 a 34.100, ma non abbastanza per evitare il sorpasso.
In Europa la maggiore economia sarà la Russia (con 7 mila miliardi di Pil rispetto ai 3.750 attuali), mentre la Gran Bretagna (nona maggiore economia mondiale a fine 2016) scivolerà al decimo posto mondiale con un Pil di 5.400 miliardi di dollari (comunque doppio rispetto ai 2.800 miliardi attuali) preceduta dalla Germania, che a sua volta scivolerà dall’attuale quinto al nono posto pur passando da poco meno di 4 mila a oltre 6.100 miliardi di dollari.
E l’Italia, vi starete chiedendo? Se per ora il “bel paese” è il dodicesimo al mondo in termini di Pil, sempre in base alla parità del potere d’acquisto (con 2.221 miliardi), nel 2050 si troverà al 21esimo posto con un Pil di 3.115 miliardi. Andrà poco meglio alla Francia, attualmente decima con un Pil di poco superiore ai 2.700 miliardi ma destinata a calare al 12esimo posto pure con un Pil di 4.700 miliardi, mentre andrà decisamente peggio alla Spagna che passerà dal 16esimo al 26esimo posto, con un Pil che parallelamente salirà dai quasi 1.700 miliardi attuali ad oltre 2.700 miliardi.
La tanto chiacchierata Turchia, in compenso, salirà dalla 14esima alla 11esima posizione con un Pil in crescita da 1.900 a quasi 5.200 miliardi. Da notare però che se anziché le cifre assolute si guarda la classifica in base al Pil pro-capite si nota come lo scenario non sarà in realtà così diverso per i residenti nei paesi sviluppati rispetto al quadro attuale.
Gli Usa resteranno infatti primi passando a 57.300 dollari pro-capite di fine 2016 a 87.700 dollari previsti nel 2050, in Gran Bretagna si passerà da 42.800 a 71.200 dollari, mentre in Cina si andrà da 15.400 a 43.400 dollari e in India da 6.600 a 25.900 dollari, come dire che la crescita sarà marcata ma non basterà minimamente a chiudere il gap.
Alla base dei trend delineati vi sono previsioni relative al ruolo crescente della tecnologia: in sostanza i paesi avanzati che investiranno maggiormente nei settori e nelle tecnologie high-tech otterranno dei guadagni di produttività tali da conservare il proprio vantaggio rispetto ai paesi emergenti.
Questo porta anche a considerare un aspetto che i sostenitori della globalizzazione hanno troppe volte trascurato, ossia l’uguaglianza o disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza che un certo modello di crescita è in grado di portare con sé. Dal 1980 a oggi sia nei principali paesi sviluppati (G-7) sia nei maggiori paesi emergenti (E-7) l’indice di Gini, che appunto segnala la diseguaglianza di una distribuzione, è andato crescendo.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti con tendenze “populiste” che guadagnano terreno e spingono per un ritorno a politiche mercantilistiche quando non protezionistiche e con un nazionalismo strisciante che rischia di mandare in frantumi le istituzioni su base regionale come la Ue ma anche il Nafta o l’Asean. L’ineguaglianza non è solo un problema sociale: secondo ricerche del Fmi una maggiore eguaglianza potrebbe accelerare la crescita mondiale, mentre la disuguaglianza tende ad agire da freno.
La conclusione di Pwc è che “i governi dovrebbero fare in modo di assicurare che i benefici della globalizzazione, dei progressi tecnici e della crescita economica siano condivisi in modo ampio attraverso la società”. I paesi del Nord Europa e la Germania, notano gli esperti di Pwc, sono noti per avere un grado di disuguaglianza tra i più bassi al mondo e questo potrebbe spiegare perché registrino risultati economici generalmente superiori a quelli di altri paesi (come l’Italia, ndr).
Tra i paesi emergenti la Corea del Nord è stata quella in grado di far calare maggiormente i valori del proprio indice di Gini, pur avendo una spesa pubblica che ancora pesa solo il 10% del Pil contro il 21% medio dei paesi dell’Ocse. Pwc conclude notando come “via via che i paesi emergenti si svilupperanno, una priorità dovrebbe essere fare in modo che i flussi di crescita si distribuiscano più uniformemente nella società, imparando dalle politiche pubbliche seguite nei paesi del Nord Europa”.
Non so a voi, ma a me pare un consiglio che sarebbe utilissimo iniziare a seguire anche in Italia, puntando con decisione su investimenti tecnologici in grado di aumentare la produttività della nostra economia per poi ripartirne i benefici nel modo più uniforme possibile, facendola finita con la logica delle lobbies e dei gruppi d’interesse che da troppi anni si spartiscono la torta lasciando a chi è escluso dal banchetto solo le briciole.