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Poveri giovani d’oggi: in Italia rischiano di diventare i poverissimi anziani di domani

Entro il 2050 l’Italia sarà uno dei sei paesi al mondo con la maggiore percentuale di over sessantenni sul totale della popolazione. Se non si vareranno per tempo politiche adeguate i ragazzi di oggi rischiano di vivere una difficile vecchiaia domani.
A cura di Luca Spoldi
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C’è poco da fare: l’economia e la società italiana stanno invecchiando e non solo in senso figurato. Secondo il Global AgeWatch Index 2015 di HelpAge International, agenzia non governativa statunitense per i diritti degli anziani di tutto il mondo, Giappone, Corea del Sud, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna saranno entro il 2050, in base alle proiezioni dell’Onu, le sei nazioni più vecchie al mondo, ossia quelle dove oltre il 40% della popolazione dovrebbe avere oltre sessant’anni. Quello che possa significare per i giovani una simile situazione è evidente e tragico, se si pensa a quanto poco spazio esista già oggi in Italia per i ventenni e trentenni sia in termini di partecipazione al mondo del lavoro sia di rappresentanza politica.

Ma il problema principale, per i “millenial” odierni e futuri pensionati, sarà che essi dovranno convivere con economie mature, caratterizzate da una crescita modesta e un debito pubblico in constante crescita, cosa che richiederà progressive (e dolorose) riduzioni delle prestazioni del Welfare o un ripensamento radicale dei sistemi previdenziali e assistenziali e del modo in cui essi verranno in futuro finanziati, visto che altrimenti il peso sui lavoratori attivi finirebbe col diventare insostenibile. Grecia e Sud Corea, in particolare, rischiano di diventare in assoluto i due paesi al mondo dove la condizione di pensionato sarà particolarmente penosa, ma a dir la verità solo il Giappone sembra essersi ormai reso conto che ci si deve inventare qualcosa per proteggere il tenore di vita degli anziani in futuro.

Già oggi, del resto, il Giappone è il paese che tratta meglio i suoi over-sessantenni, seguito da Spagna, Italia, Portogallo, Sud Corea e Grecia. Quest’ultima dopo la crisi del 2008, che ha avuto una ricaduta molto pesante sulle condizioni di vita delle generazioni più anziane, ha dovuto iniziare a ristrutturare la previdenza pubblica sotto la spinta della “troika”, riducendo gli assegni pensionistici e innalzando l’età a cui è possibile andare in pensione, con nuove misure di austerità varate in tutta fretta questa estate per evitare l’uscita del paese dall’euro. Non basterà, come rischiano di non bastare all’Italia le numerose riforme già varate in campo previdenziale e i primi interventi effettuati sulla sanità pubblica.

Il Giappone, al contrario, più che pensare a tagliare ha varato un’assicurazione sanitaria generale e dato priorità all’istruzione. In questo modo da un lato si sta creando un sistema sanitario maggiormente sostenibile, dall’altro si agisce alla base del problema: garantire opportunità ai giovani di oggi così che gli stessi possano godere di un buon tenore di vita anche da anziani, una volta ritiratisi dal mondo del lavoro. Da questo punto di vista la lezione per l’Italia sarebbe vitale: il “bel paese” da troppi anni continua a seguire politiche di bilancio che sacrificano alle esigenze “contabili” ogni altro aspetto, non riesce a incentivare la partecipazione al lavoro di giovani e donne (parendo anzi che si faccia di tutto per scoraggiarla così da non dover registrare tassi di disoccupazione ancora più elevati di quelli attuali), non incentivan la stabilità dei rapporti di lavoro e quindi delle contribuzioni previdenziali (anzi), tantomeno incentiva le famiglie e la nascita (e cura) di nuovi figli che pure potrebbe riequilibrare il rapporto giovani/anziani.

Saremo sempre meno e sempre più vecchi? Saremo sempre meno qualificati per le attività del futuro? Saremo sempre più dipendenti dalla generosità dei nostri creditori internazionali, della Banca centrale europea o dello “stellone” per riuscire a far quadrare i conti e rinnovare costantemente un debito pubblico già ora evidentemente fuori controllo, visto che rappresenta oltre 1,3 volte un Prodotto interno lordo che non cresce o cresce pochissimo e comunque meno dell’onere sullo stesso (nonostante il periodo di tassi nominali prossimi a zero)? La risposta nessuno lo sa, dato che dipende da scelte di politica economica e sociale che per ora nessuno governo ha saputo prendere, occupato com’era nella gestione della “emergenza quotidiana”. Eppure se non troveremo il tempo per occuparci del nostro futuro, sarà il nostro futuro prima o poi ad occuparsi di noi, probabilmente nel modo più duro possibile.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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