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Perché tassare Bot e Cct è un autogoal

Le parole di Delrio e di Renzi fanno temere un incremento del prelievo fiscale sui titoli di stato (oggi pari al 12,5%). L’operazione rischia di produrre molte polemiche e poco gettito spendibile per tagliare il cuneo fiscale e dare fiato alla ripresa…
A cura di Luca Spoldi
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Scherza coi fanti e volendo persino coi santi, ma non toccare mai case, Bot e mamme, nell’ordine. Governare gli italiani non è poi così complicato se si tiene a mente questa piccola regola di “prudente amministrazione”, se invece incautamente lasciate che membri del vostro governo, che ancora deve presentarsi al Senato per chiedere la fiducia, si lancino in imprudenti dichiarazioni televisive è meglio correggerle subito. Così non sono passate 24 ore da quando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha dichiarato alla trasmissione “In mezz’ora” condotta su Rai3 da Lucia Annunziata che “certamente vi è una parte delle rendite finanziarie che non è in linea con la tassazione che vi è in Europa” (il 25% medio, ricorda la stessa Annunziata) e che un “argomento” (l’incremento della tassazione sulle rendite finanziarie) che “per portare più soldi nelle fasce più deboli forse va valutato”, che puntuali sono arrivate le prime precisazioni.

E sin qui nulla da eccepire, perché se non si vuole sforare il 3% di deficit/Pil (anche se forse varrebbe la pena di valutare in cambio di quali riforme si possa ottenere dall'Europa di sforare questo limite per qualche tempo), in una situazione ingarbugliata come l’attuale in cui il Pil (colpito dalla politica di repressione fiscale voluta dalla Germania che ha accentuato la crisi della domanda interna fino a rischiare di trasformare una recessione in depressione) non sale a sufficienza anche solo per compensare gli oneri sul debito e visto che sostanziali taglia alla spesa pubblica non dipendono dalla “spending review” (che punta, ben che vada, a produrre risparmi per 32 miliardi di euro in tre anni, a fronte di una spesa pubblica che dovrebbe viaggiare attorno ai 525-532 miliardi l’anno secondo il Bilancio di Previsione 2011-2014) ma richiederebbero un taglio draconiano e socialmente improponibile delle voci che pesano maggiormente sulla spesa corrente (ossia in particolare sui 240 miliardi di euro annui di trasferimenti all’amministrazione pubblica) come pensioni e sanità, si può solo cercare di ribilanciare una tassazione che è destinata nel complesso a rimanere sui livelli attuali ancora per diversi anni, con buona pace dei proclami del premier di turno, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi.

Il guaio è che far diminuire la tassazione sulle persone e sul lavoro per incrementarla sulle cose (ossia sul patrimonio) è spinoso in Italia dove i governi si sono concentrati in tutti gli ultimi anni solo sulla seconda parte della formula, introducendo negli anni una serie di patrimoniali (dalle rendite finanziarie sino alla casa) senza contropartita o quasi. Tanto più lo diventa nel caso di titoli che rappresentano un debito che lo stato contrae per finanziare la spesa pubblica, debito che va collocato sul mercato e che dunque deve trovare un acquirente, sia esso una banca, un fondo monetario (o obbligazionario) o un privato.  Così sentire Delrio sostenere che “una signora anziana che ha 100 mila euro di Bot che gli rendono un tot di soldi a cui magari gli si toglie 25, 30, 50 euro in più non credo abbia un problema di salute, vediamo da caso a caso” non può che far scattare qualche campanello d’allarme (a parte il fatto che forse una signora con 100 mila euro in Bot non è esattamente il profilo dell'investitore medio italiano).

Anche perché fate attenzione: togliere dai 25 ai 50 euro in più ogni 100 mila euro di Bot (o altro titolo di stato), che mediamente rendono lo 0,495%, ossia meno di 500 euro l’anno, significa ridurne il rendimento allo 0,47%-0,445% (470-445 euro all’anno) in termini nominali, il che vorrebbe dire che la “signora anziana” non riuscirebbe neppure a compensare la sia pur debolissima inflazione attuale (0,7%) né quella che presumibilmente si vedrà nel prossimo futuro (attorno o sopra l’1%). Il rischio è evidente e infatti subito Maria Cannata, dirigente generale del debito pubblico per il Tesoro, ha messo le mani avanti al riguardo: “il retail é sensibile su questi aspetti” ha spiegato, ricordando come di recente “é stata anche aumentata la tassa sul dossier titoli. Forse un po’ di cautela non sarebbe male”, perché i risparmiatori potrebbero anche decidere di investire in altri strumenti più redditizi (o potrebbero farlo i gestori dei fondi monetari e obbligazionari per evitare di subire a loro volta importanti flussi di riscatti).

Ma se anche non lo facessero e accettassero l’ennesima “tosatura sarebbe un cane che si morde la coda visto che si distruggerebbe il risparmio e dunque la capacità che questo ha di finanziare futuri investimenti e consumi. Non stupisce dunque che lo stesso Renzi  si sia ben guardato dall’affrontare il tema nel suo discorso al Senato e abbia poi cercato di smorzare la polemica spiegando ai giornalisti che lo interrogavano che “il tema della tassazione sulle rendite finanziarie e il tema dei denari sul costo del lavoro saranno oggetto di una valutazione”. Il problema come sempre sono i numeri: ammesso che si tratti finalmente di uno “spostamento” del peso fiscale e non solo dell’ulteriore suo incremento senza compensazione alcuna, dato che a inizio febbraio erano in circolazione circa 147,8 miliardi di Bot, 67,9 miliardi di Ctz, 1.334,5 miliardi di Btp/Btp indicizzati e 126,4 miliardi di Cct/Ccteu, per oltre 1676 miliardi complessivi (su cui Banca d’Italia calcola un Rendistato del 2,83% complessivo, equivalente a 47,4 miliardi di euro di interessi annui), aumentare del 7,5% la tassazione porterebbe in linea del tutto teorica a 3,55 miliardi di maggiori entrate fiscali, mentre un aumento del 12,5% produrrebbe un gettito incrementale teorico di 5,92 miliardi.

Gli industriali come noto chiedono da un anno la riduzione di almeno 10 miliardi l’anno del “cuneo fiscalecome premessa per tornare a investire (il che non è detto si traduca automaticamente in una ripresa delle assunzioni o in un'accelerazione del Pil, naturalmente), mentre alcuni calcoli circolati nei mesi scorsi stimavano in 50 miliardi lo “spread” tra il cuneo fiscale italiano e quello tedesco. Comunque la si guardi non basterà usare la leva fiscale, come ho già detto, per incentivare le aziende a tornare a investire: se è possibile e forse opportuno affrontare il tema del “riequilibrio” delle imposte è evidente che non si possa più perder tempo in equivoci o peggio imbarcarsi in “manovre correttive” che ulteriormente aggraverebbero il carico fiscale degli italiani senza migliorare la competitività delle nostre imprese. Il rischio è di cadere in “trappole mediatiche” che le prossime elezioni europee di maggio renderanno sempre più frequenti. Il sostanziale disinteresse mostrato dai mercati azionari e obbligazionari a tutta questa vicenda dimostra una volta di più come i margini di manovra della politica italiana siano davvero ridotti, non importa chi prometta di volta in volta “miracoli” a favore o contro l’attuale sistema.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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