Dopo molti tentennamenti ha deciso di aumentare il capitale di 3 miliardi di euro: il Cda di Peugeot nella notte ha sciolto le ultime riserve in vista del rinnovo della gamma e dell’espansione in nuovi mercati a partire dalla Cina. E guarda caso proprio Dongfeng Motor (uno dei quattro maggiori produttori automobilistici cinesi), assieme allo stato francese, avrebbe già garantito la sottoscrizione di 750 milioni di euro ciascuno in cambio di una quota attorno all’11% del capitale a fine operazione.
Anche così il produttore francese non avrà vita facile per trovare sottoscrittori per i restanti 1,5 miliardi circa di titoli, che probabilmente verranno proposti a sconto rispetto alle attuali quotazioni (in calo). Un problema che potrebbe riproporsi a breve anche a Fiat se il produttore italiano, che nelle prossime ore dovrebbe finalizzare l’acquisto delle minoranze di Chrysler in mano al fondo pensione Veba per poi mettere in cantiere la fusione con la controllata statunitense (e probabilmente di spostare a Detroit la sede legale), dovesse decidere di chiedere soldi al mercato non tramite un nuovo bond ma con un convertibile o direttamente tramite un aumento di capitale.
A differenza di Peugeot, storico partner industriale del Lingotto nello sviluppo della gamma di veicoli commerciali leggeri e monovolumi, Fiat non potrebbe in ogni caso contare sull’aiuto del Tesoro italiano, che anzi nei prossimi mesi sembra impegnato a fare cassa il più possibile con le “privatizzazioni” di Poste Italiane (si parla del collocamento di una quota attorno al 40% del capitale, ma ancora non si è capito se si tratterà di Poste Italiane, della controllata Banco Posta o di qualche Newco costituita ad hoc) ed Eni.
Operazione quest’ultima resa complessa dalla volontà di avere contemporaneamente la botte piena, ossia non diluire il controllo pubblico sotto il 30% (attualmente è pari al 30,1% considerando anche le quote in mano a Cassa depositi e presiti), e la moglie ubriaca, ossia massimizzare l’incasso con la cessione delle quote in mano al Tesoro (pari al 3,93%), procedendo pertanto con l’operazione solo previo buy-back sul 10% circa di Eni, operazione che costerebbe oltre 6 mila miliardi alla compagnia per poterne fare incassare 2.500 circa al Tesoro (che rinuncerebbe però così a circa 160 milioni l’anno di dividendi). Queste incertezze potrebbero far propendere il Lingotto per l'emissione di un bond, la cessione di qualche asset o l'Ipo di Fiat-Chrysler a Wall Street come fonte di finanziamento alternativa.
Dal canto suo Zhu Fushou, direttore generale di Dongfeng Motor, ha già fatto sapere che se l’investimento in Peugeot verrà finalizzato “porterà benefici come tecnologie e altre risorse che ci aiuteranno a sviluppare le nostre vetture” sottolineando come “il problema principale di Peugeot è la sua pesante dipendenza dall’Europa, cosa che potrebbe essere risolta spostando il focus sui paesi emergenti”. Fushou sa di che parla, visto che il gruppo francese sta distruggendo risorse (i risultati si sapranno tra un mese ma già ora si scommette tra che il produttore possa aver bruciato circa 1,5 miliardi di euro di cassa nel 2013) senza riuscire a mantenere le sue quote in Europa (a causa di un calo dell’8,5% delle sue immatricolazioni, la quota di Peugeot in Europa è calata a fine 2013 dall’11,7% al 10,9%).
Una “soluzione” asiatica da un lato rischia di aprire le porte del vecchio continente al produttore cinese, rendendo la vita ancora più difficile a chi come Fiat- possiede marchi generalisti ed è a sua volta ancora fortemente dipendente e penalizzato dal mercato europeo (741 mila vetture immatricolate in tutto l’anno, pari ad una quota di mercato del 6%, ma anche, nei primi nove mesi del 2013, un fatturato in calo del 2% e una perdita operativa di 304 milioni), dall’altro potrebbe rendere più difficile quel successo in Cina su cui Marchionne ancora sembra far conto quando parla della possibilità che il marchio Jeep quest’anno venda un milione di vetture contro le 731.565 unità vendute nel 2013 (gli analisti di Equita Sim giudicano l’obiettivo troppo ambizioso e prevedono che possa essere raggiunto solo nel 2015).
Peugeot sta accelerando il più possibile i suoi piani di crescita in Cina: dallo scorso luglio ha già operativi tre impianti con Dongfeng per produrre quattro modelli per il mercato locale, che si sommano ad una quarta fabbrica avviata con Chang’An Automobile Group per produrre vetture a marchio Ds, e conta per il 2015 di arrivare ad avere una capacità produttiva di 950 mila vetture l’anno. La corsa ad aprire nuovi impianti rischia peraltro di ricreare anche in Asia quella situazione di sovracapacità produttiva strutturale di cui l’Europa soffre da anni ed anche in questo caso chi arriverà in ritardo rischia o di non saturare le proprie fabbriche a causa di quote di mercato troppo modeste o di dover pagare caro la crescita se si farà ricorso a campagne commerciali a base di sconti e incentivi finanziari all’acquisto dei nuovi veicoli.
Sia come sia il prossimo 29 gennaio, quando Marchionne commenterà in conference call con gli analisti finanziari i risultati del quarto trimestre del 2013, c’è da scommettere che saranno in tanti a volere maggiori delucidazioni sui piani di crescita del Lingotto fuori dall’Europa e in particolare in Asia. E magari sulle sorti che faranno le fabbriche e i lavoratori del vecchio continente.