Petrolio al centro di tutti i giochi, finanziari e geopolitici: se oggi le borse sono tornate a tremare dopo che l’Iran ha definito “ridicolo” l’accordo tra Arabia Saudita (che intento ha negato di voler tagliare la produzione) e Russia per congelare ai livelli di gennaio le rispettive produzioni petrolifere, persino per l’omicidio di Giulio Regeni si inizia a parlare, nell’ambito di un presunto piano per destabilizzare l’Egitto e minare i rapporti con l’Occidente e l’Italia in particolar, del peso che potrebbe aver avuto l’assegnazione ad Eni dello sviluppo del maxi giacimento offshore di gas naturale Zohr, sotto il quale potrebbe nascondersene un secondo, forse di petrolio.
Un progetto da 10 miliardi di dollari di investimenti, attorno al quale è già al lavoro Saipem, che in questi giorni ha completato l’aumento di capitale da 3,5 miliardi di euro al termine del quale la società rimborserà, lunedì, tutto il debito verso Eni, pari a 6,4 miliardi, vedendo aumentare il debito netto pro forma a 2 miliardi di euro circa. Certo che se i prezzi resteranno quelli attuali, le tensioni sui mercati e sul fronte geopolitico è difficile possano calare, tanto più che, come confermato dalle ultime dichiarazioni provenienti da Teheran, Iran e Arabia Saudita restano su fronti opposti sia in termini politico-militari (in particolare per la gestione della crisi siriana e di quella yemenita) sia economici.
Già, i prezzi: finora sia l’Opec sia l’Iea (Autorità internazionale dell’energia) erano apparse concordi se non nelle stime almeno nell’indicare che il problema attuale è legato alla sovrapproduzione (essenzialmente come risposta all’arrivo sul mercato, da un paio d’anni, di rilevanti quantitativi di shale oil statunitense), ma che la domanda continuava gradualmente a salire. Ma il quadro potrebbe modificarsi in tempi più rapidi di quanto si pensi. Non solo le nuove tecnologie sono generalmente “verdi” e richiedono un minor consumo di energia (e di fonti fossili in particolare), ma anche la diffusione di fonti rinnovabili, per quanto resa meno conveniente dal calo dei prezzi petroliferi, contribuisce a far ipotizzabile ciò che pochi anni fa sembrava impossibile, ossia la fine di una dipendenza stretta della crescita economica dall’oro nero.
Secondo un’indagine di Bloomberg, in particolare, nei prossimi anni le vendite di automobili elettriche inizieranno a far sentire il loro peso sul mercato. Già lo scorso anno, nonostante prezzi della benzina sempre più bassi, le vendite di auto elettriche sono salite del 60% in tutto il mondo, se proseguissero ad un simile ritmo entro il 2023 al massimo potrebbero ridurre di circa 2 milioni di barili la domanda mondiale di petrolio. Guarda caso, notano gli esperti di Bloomberg, 2 milioni di barili al giorno di maggiore produzione è stato proprio l’incremento di offerta registratosi dal 2014 a oggi dopo l’arrivo sul mercato dello shale oil americano (e la risposta dell’Opec che a sua volta ha aumentato la propria produzione per condurre una battaglia sul prezzo).
Un incremento che nessuno aveva predetto neppure lontanamente, così come nessuno aveva previsto una calo delle quotazioni del petrolio, ancora oggi tra i 30 e i 32 dollari al barile, che potesse durare così a lungo. Così il fatto che finora l’Opec (e major come ExxonMobil) prevedano che prima del 2040 le auto elettriche non arriveranno a rappresentare l’1% delle vendite mondiali di auto e pertanto non saranno in grado in alcun modo di ridurre la domanda di greggio, prendetele per quello che valgono: ipotesi che sono scritte sull’acqua, anzi sul petrolio. Ma che spesso non riescono a tener conto di “esogene” e cambiamenti di paradigmi come quelli portati dall’affermarsi di nuove tecnologie a livello mondiale.