Tanto tuonò che piovve: a furia di segnalare come il prezzo del petrolio fosse debole per un eccesso di offerta, a causa dell’incapacità dell’Opec di arrivare a un accordo per limitare la (sovra)produzione, l’accordo raggiunto poco settimane fa e in vigore dal primo gennaio di quest’anno per tagliare di 1,1 milioni di barili al giorno la produzione Opec e di ulteriori 600 mila barili al giorno la produzione non Opec (in particolare russa) sta funzionando, coi prezzi del petrolio Wti (il West texas intermediate) che hanno superato i 55 dollari e quelli del Brent del Mare del Nord i 58 dollari al barile, migliorando i massimi degli ultimi 18 mesi, prima di iniziare a perdere quota.
Al momento a New York il future per consegna febbraio del Wti oscilla sui 52,5 dollari al barile, mentre il future per consegna marzo del Brent oscilla sui 55,5 dollari, in entrambi i casi perdendo circa 1,25 dollari rispetto alla chiusura ufficiale di ieri. Stamane i prezzi avevano accennato a un ulteriore rialzo dopo la conferma che il Kuwait e l’Oman hanno ridotto la propria produzione rispettivamente di 130 mila e di 45 mila barili al giorno scendendo a 2,75 e a 1,01 milioni di barili al giorno.
Dal 29 novembre, quando l’Opec si riunì per accordarsi sui tagli (che, ricordiamo, non toccano l’Iran, che potrà continuare ad aumentare la propria produzione, la Nigeria e la Libia, ma per la prima volta dagli anni Novanta riguardano anche l’Iraq) il prezzo del greggio è già risalito di una decina di dollari al barile, passando dai circa 45 ai circa 55 dollari al barile. In parallelo il prezzo (riferito a impianti self-service) della benzina in Italia è salito a 1,567 euro al litro in media, dagli 1,521 euro medi del primo dicembre.
Ormai gli 1,40 euro circa visti ai primi di marzo dello scorso anno, quando il petrolio oscillava tra i 37,8 e i 38,5 dollari al barile (in rialzo dai 26,2-26,5 euro toccati tra gennaio e febbraio) sono uno sbiadito ricordo e se, come alcuni analisti ipotizzano, il prezzo del petrolio toccherà i 60 dollari al barile nelle prossime settimane e il dollaro dovesse rafforzarsi ulteriormente, andando a riagguantare la parità con l’euro nel corso dei mesi a venire, visto anche l’attesa per ulteriori rialzi dei tassi d’interesse statunitensi, le cose per gli automobilisti italiani potrebbero mettersi davvero male.
Oltre ad una “consueta” reattività ai rialzi del costo del petrolio molto più pronta che non ai ribassi (durante le feste di fine anno la benzina è aumentata praticamente solo in Italia, rimanendo stabile nel resto d’Europa), a pesare sul prezzo finale della benzina in Italia è come noto la componente fiscale, arrivata ormai a rappresentare il 69% nel caso della benzina verde (e il 65% nel caso del gasolio). Come dire che ancora una volta è il fisco italiano, opprimente e poco trasparente, a fare la differenza, visto che tasse più alte che in Italia si registrano solo in Norvegia per quanto riguarda la benzina e solo in Gran Bretagna per quanto riguarda il gasolio.
Come si può cercare di contrastare questo ulteriore costante drenaggio di nostri capitali da parte del fisco e dei gruppi petroliferi operanti sul mercato italiano? Sembrerà banale, ma una condotta di guida adeguata può comportare risparmi consistenti, nell’ordine anche del 30%. Cercare di ridurre al minimo accelerazioni e brusche frenate in città, scalando correttamente le marce a seconda del numero di giri del motore, è fondamentale: tra l’altro alcune compagnie di assicurazioni adottano una politica di sconti sulla polizza Rc Auto che premia chi adotta uno stile di guida meno “sportivo” restando nei limiti di velocità previsti per i vari tipi di tracciato su cui ci si muove e riducendo accelerazioni e decelerazioni, quindi il vantaggio sarebbe doppio.
A proposito di velocità: in autostrada il limite è 130 km/h ma molti per la fretta di arrivare viaggiano toccano sovente i 140-150 km/h salvo frenare in prossimità di Autovelox e Tutor vari. A parte che si tratta di una condotta di guida più pericolosa (e per questo monitorata, tramite scatola nera, dalle compagnie assicurative), se volete evitare di veder salire alle stelle il vostro consumo di carburante dovreste cercare di mantenervi tra i 110 e i 115 km/h, tenendo i finestrini chiusi se superate i 70 km/h e per quanto possibile riducendo l’utilizzo del climatizzatore (il cui uso intensivo può aumentare anche del 25% i consumi di carburante. Inoltre pneumatici sempre efficienti e alla giusta pressione possono consentire risparmi fino ad un 4%-5%.
Ovviamente anche viaggiare leggeri ha i suoi vantaggi: 100 Kg di carico su un veicolo di classe media attorno ai 1.500 Kg di peso comporta un aumento dei consumi del 6%-7%, altrettanto fanno eventuali portapacchi e portabiciclette montati sopra il tetto della vettura, dato che ne peggiorano l’aerodinamicità. Un mito da sfatare è che marciare “in folle” faccia risparmiare benzina: in realtà non accade perché comunque una quantità minima di carburante viene immessa nel carburatore per mantenere il motore ad almeno 800-1.000 giri al minuto. Piuttosto sarebbe meglio decelerare con la marcia inserita, in questo modo non si avrebbe ulteriore iniezione di carburante e i consumi si ridurrebbero. Insomma: se il fisco è “aggressivo”, uno stile di guida più “rilassato” può mettervi al riparo da una spesa eccessiva per carburanti. Teniamolo a mente, ne avremo bisogno.